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Visualizzazione dei post da maggio, 2018

Se oggi noi giornalisti fossimo un po' di più "giuntelliani"

Per tanti anni amici e colleghi mi hanno spesso apostrofato con la frase: “sei giuntelliano”. Credo che ciò si riferisse non tanto al fatto che ho avuto, fin da adolescente, io ragazzo di periferia e non “figlio di papà”, la fortuna di essere stato allevato, grazie proprio a Paolo Giuntella, nella culla del cattolicesimo democratico, o che mi appassionasse la musica, le buone letture, il sigaro toscano e le osterie romane (le passioni di Paolo...). No, non è questo. Credo invece che l’appellativo “giuntelliano” si riferisse al modo in cui, fin da giovanissimo, mi sono approcciato alla scrittura e al mestiere di giornalista. Non nego che da ragazzo mi divoravo letteralmente ogni articolo di Paolo, ogni suo libro. Per me era una specie di droga. Quella scrittura intrisa di biografie impossibili, di punteggiatura al limite del genio e della sregolatezza, quel giornalismo che nella ricerca della verità osava sempre l’accostamento con l’Altrove, attraverso i sapori del cielo e della

Quella pazzia che ci libera tutti

A 40 anni dalla legge 180 Quella pazzia che ci libera tutti I cittadini di Trieste lo ricordano bene ancora oggi quel 25 febbraio 1973, quando la città fu letteralmente invasa da un corteo allegro e festante di “matti” – i pazienti reclusi nell’ex manicomio di San Giovanni, ora divenuto parco – che trainavano “Marco Cavallo”, l’opera in legno e cartapesta dal colore azzurro realizzata dentro l’ex manicomio stesso da degenti, medici, artisti e infermieri e ispirata a quel cavallo che, l’anno prima, era stato salvato dal macello perché ormai vecchio e stanco dopo tanti anni di onorato servizio come “trasportatore ufficiale” dei panni da lavare. Ecco, di quel giorno va ricordato un gesto, che rimane alla storia: le dimensioni di Marco Cavallo erano così grandi che non riusciva a passare attraverso il cancello di ingresso dell’ospedale psichiatrico. Franco Basaglia, allora direttore del manicomio di Trieste, per liberare il passaggio al cavallo, spaccò con una panchina di ghis