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Visualizzazione dei post da 2016

Se il sacro scappa in America Latina

Articolo pubblicato su Vino Nuovo La lunga e paziente opera di destrutturazione del potere temporale della Chiesa voluta da Francesco ha un piede, ormai senza più nascondersi, in America Latina. L’immagine del sacro, così racchiusa dentro la storia d’Europa, tende a incarnarsi verso le bidonvilles del terzo e quarto mondo, verso quella “Chiesa in uscita da se stessa” che apre porte e costruisce ponti lontana da piazza San Pietro. La nuova geopolitica della Chiesa abbraccia povertà ed emarginazione, prima ancora di addobbi sacrali e cerimonie di altri tempi. Una rivoluzione, non c’è che dire. Culturale, prima ancora che teologica. Una transizione evidente dal modello petrino europeo, sedimentatosi nei secoli, verso un modello episcopale dove il pastore è incarnato nel suo territorio. Dove la fede è la terra. A volte, più del cielo. Meno cardinali, più vescovi. Meno Petrus, più Vangelo. Ecco perché qualcuno l’ha presa male, e l’opposizione – curiale, ma anche di lobbies e circoli va

Benedetto XVI e la fedeltà al trono di Pietro

Articolo pubblicato su Vino Nuovo Benché  mons .  Georg  Gaenswein  continui a discettare su Joseph Ratzinger e sulla sua salute, il pontificato di Benedetto XVI , e la sua visione pastorale e teologica, andranno valutati nel la  loro compless ità  e nei giusti tempi . Benedetto  XVI  è un uomo e  intellettuale  fortemente radicato nel novecento europeo, ma che  ha  vissuto  appieno  la crisi  della   globalizzazione -desacralizzazione  degli anni duemila. La complessità, e  per  certi  versi,  anche la grandezza , appartiene a quest’uomo che per una  manciata  d’anni  ha  provato a governare la  Chiesa  dopo essere stato per molto tempo suo attento  cerimoniere  e guardiano. Benedetto  XVI  è stato  prima  un  sacerdote ,  e poi  vescovo,  cardinale  e papa fedele. La  fedeltà    ( cioè  l’ aver  fede ) l’ha vissuta come caratteristica  saliente  del suo essere prete. Fedele a Giovanni Paolo II, quando da  inflessibile  scudiero dell’ex Sant’Uffizio  ha blindato la Chiesa unive

Le ragioni del "no" e il tempo del "sì"

Appartengo a una generazione orfana di “sì”. Il “no” mi è piovuto addosso in una stagione beffarda, lasciandomi poco spazio per pensarlo. In politica, il ventennio berlusconiano ha fatto a pezzi quel che restava del bene comune e ha tradito il grande sogno liberale di un Paese libero e giusto. Il mio “no”, quindi, è stato al pari di una risposta estetica, “corporale”. In economia, il ladrocinio della finanza globale nei confronti dei popoli del mondo e anche della middle class europea, mi ha portato a viaggiare verso le latitudini della “decrescita felice” e del consumo responsabile. Nella Chiesa, infine, il ventennio wojtyliano-ruiniano, mi ha lasciato la sensazione che una Chiesa chiusa, non aperta al mondo, vissuta come religione civile, la Chiesa della “legge” e dei valori non negoziabili, ebbene “quella” Chiesa non mi apparterrà mai. Oggi è un tempo di passaggio . Ne sento l’odore solcando le vie delle nostre città o semplicemente vivendo il quotidiano delle nostre vite. Alla

Amoris Laetitia: il magistero che sa di Cantico dei Cantici

Amore batte legge due a zero. E senza bisogno di tempi supplementari. È questo il senso più immediato, a una prima rapida lettura del testo, di  Amoris laetitia  ( La gioia dell'amore ) , l'Esortazione apostolica post-sinodale "sull'amore nella famiglia", datata non a caso 19 marzo, solennità di San Giuseppe, che raccoglie i risultati dei due Sinodi sulla famiglia indetti da papa Francesco nel 2014 e nel 2015. Sinodi fortemente vissuti dai media di tutto il mondo come una sorta di contrapposizione tra una Chiesa che guarda avanti,  semper reformanda , e un'altra chiusa all'interno dei palazzi e dei templi. L'Esortazione apostolica è ampia e articolata. Suddivisa in nove capitoli e oltre 300 paragrafi, si apre con sette paragrafi introduttivi che mettono in piena luce la consapevolezza della complessità del tema e l'approfondimento che richiede. Insomma, va letta per bene. In famiglia, da soli, nelle comunità parrocchiali. Ma sempre con l'o

Appunti per una Pasqua in uscita

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Il Dio in uscita che mi accompagna in questa Pesach duemilasedici ha il sapore del pane fatto in casa e i colori di un orizzonte infinito. Amo gli sconfinamenti, di cielo e di terra, le rotte geografiche dell’anima che mi portano altrove , in altri lidi di suono e silenzio, oppure, chissà, in un altrove in mezzo a una città che vorrei abitare con sguardo altro . I tempi prossimi di risurrezione hanno bisogno, a volte, di conflitti, di parole vere e forse dure, di abbandoni e ritorni, di de-istituzionalizzare il sacro e il profano. Scappo, quindi, a gambe levate da liturgie senza vita e senza spirito, da omelie imbarazzanti, da parroci-re di un impero fattosi solo Tempio che, tra qualche anno, cadrà in pezzi. Scappo da oratori e sagrestie, da una Chiesa baby sitter e da catechismi obbligatori e parrocchie che ancora oggi si sviluppano intorno al modello tridentino, da laici con il capo all’ingiù diventati presto cortigiani del re. Scappo, infin

Dopo il Family day: i cattolici, la famiglia, il potere

Dopo l’abbuffata mediatica del Family day è lecito porsi alcune domande su cosa abbia voluto dire questo evento alla pubblica opinione, laica e cattolica. Nessuno può negare la libera e appassionata affluenza di tante famiglie italiane (la stragrande maggioranza comunque appartenente al movimento ecclesiale dei Neocatecumenali, al quale il leader del Family day, il medico Gandolfini, appartiene), così come c’è da rimanere sorpresi rispetto ai “numeri” sparati dall’organizzazione – chiunque abbia partecipato a concerti pop e rock al Circo Massimo sa quante persone può contenere al massimo della sua capienza –. Un Family day assai diverso da quello del 2007, svoltosi in piena era Ruini – anche se era appena subentrato il card. Bagnasco a capo dei vescovi italiani – dove era evidente il fortissimo desiderio da parte del grande Richelieu italiano, di bloccare i Dico dell’allora ministro Rosy Bindi e di dare uno scossone al governo Prodi. C’è da aggiungere, però, che anche nel 200

Se le donne lavassero i piedi al sacerdote

Lavanda dei piedi concessa alle donne. Confesso che la notizia del "piccolo" cambiamento all'interno del rito del Giovedì santo, rimbalzata sui social network il 21 gennaio, l'aspettavo da molto tempo. Tante parrocchie già da anni accolgono l'apporto delle donne durante il rito della lavanda dei piedi, in barba ai codicilli. Così come altri preti, a rigor di diritto certo, continuano a scegliere sempre uomini o ragazzi, e possibilmente "sani", mentre le comunità parrocchiali si dividono, a colpi di "manuale Cencelli", i posti in palio nel periodo liturgico più forte, ma anche più visibile dell'anno, e cioè il triduo pasquale. Quanti consigli pastorali passati a far capire a parroco e parrocchiani che le donne  devono  esserci nel rito della lavanda dei piedi? Mentre però mi scorrevano nella testa tanti anni di liturgie comunitarie e tridui pasquali passati in parrocchia  (ma perché non riscoprire la gioia e l'inatteso di un bel tri