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Visualizzazione dei post da 2017

E Charles de Foucauld sbarca a Roma

Matteo Zuppi, Corrado Lorefice, Angelo De Donatis, Claudio Cipolla, Renato Marangoni, Giacomo Perego. Bologna, Palermo, Roma, Padova, Belluno, Ferrara. Sono solo alcuni nomi dei vescovi e arcivescovi scelti da papa Francesco per guidare la Chiesa italiana. La lista è più lunga, certo. Quello che balza agli occhi è "l'odore delle pecore" che essi incarnano. Pastori dallo stile inconfondibile, profeti dell'"ordinario", solida formazione teologica ma tanta attenzione pastorale ai territori e alle storie degli uomini. Con Francesco il cambiamento di rotta nel governo della Chiesa, più che attraverso carte bollate ed encicliche, arriva dall'esperienza umana dei pastori, uomini al servizio del proprio popolo. Ecco perché non può passare inosservata una scelta "pastorale" che ha interessato in questi giorni la diocesi di Roma e che si presta a più di una riflessione. Infatti, il vescovo di Roma, cioè il papa, sentendo ovviamente il parere del neo

La profezia e i profeti. Su don Milani e dintorni...

Verrebbe da dire: don Milani fa parlare di sé anche dopo morto. Pare proprio così, infatti, a leggere e ascoltare alcune dichiarazioni post visita di papa Francesco a Barbiana. Non mi meraviglio. La profezia (e i profeti) hanno sempre avuto vita difficile nella storia della Chiesa. A maggior ragione dopo, ma anche un po’ prima, dello svolgimento del Concilio Vaticano II. Che c’è una parte di Chiesa allergica alla profezia biblica e ai profeti è cosa nota. L’istituzione, qualsiasi essa sia, non va d’accordo con la profezia. Ma forse è giusto così. Un’istituzione, al contrario, accondiscendete con la radicalità del Vangelo annunciata e proclamata da chi incarna con la sua vita la profezia, farebbe intorpidire la profezia stessa, che invece ha bisogno di libertà, creatività, coraggio. E possibilità di provocare la speranza. Non rimango quindi sorpreso dalle dichiarazioni date alla stampa e nel breve saluto rivolto al papa, dall’attuale arcivescovo di Firenze sulla presunta santit

Cei, Roma, Milano: le tre mosse di Francesco

In pochi giorni papa Francesco ha dato un segnale molto chiaro a una Chiesa italiana desiderata in sintonia con il suo pontificato. Ieri, con la nomina del card. Gualtiero Bassetti a presidente della Cei, e oggi con la nomina del nuovo vicario di Roma, nella persona di mons. Angelo De Donatis , dal settembre 2015 vescovo ausiliare della diocesi con delega alla cura dei sacerdoti. Se di Bassetti già si è detto molto, interessante e per certi versi nuova appare la scelta del vicario del papa a Roma. Per quattro motivi almeno. Primo: l’età giusta . Mons. De Donatis ha compiuto 63 anni a gennaio. Ha davanti a sé almeno 12 anni di servizio pastorale “ a capo” della diocesi di Roma. Un tempo decisamente opportuno per imprimere decisioni importanti e durature nel governo della diocesi. Secondo: la sua biografia . Uomo di studi e di affabilità pastorale. Dopo la licenza in Teologia morale alla Gregoriana, è stato il parroco “storico” a San Marco Evangelista al Campidoglio dove ha affinato

Le sfide che attendono la Chiesa italiana

Articolo pubblicato su VinoNuovo il 24 maggio 2017 Con la votazione della terna di nomi, poi presentata a papa Francesco, per il ruolo di presidente della Cei, la Chiesa italiana è entrata definitivamente nell'era Bergoglio. Al di là, infatti, dell'inevitabile interesse da parte dei media sui nomi proposti (va detto che è anche la prima volta che la Chiesa italiana adotta una procedura democratica nell'elezione del suo presidente), quello che appare invece più importante sono le sfide con le quali i vescovi italiani dovranno convivere nel prossimo quinquennio e alle quali dovranno dare risposte coraggiose. La Chiesa di Francesco abbraccia le periferie esistenziali, tende la mano a lontani e "diversi", cura le ferite di un'umanità sempre più fragile e sola. In un'Italia che attraversa una crisi economica senza precedenti e un vuoto di prospettive etiche e politiche, il  paradigma bergogliano  viene a mettersi di traverso come un ponte dove costrui

Laici e presbiteri? C'è ancora molto da fare. Il caso Roma insegna

È inutile che ci giriamo intorno: le famose “primarie” del Vicario di Roma, allargate per volere di papa Francesco anche ai laici, pare proprio che siano state un flop. Difficile attribuire colpe specifiche, se non a un clima un po’ "crepuscolare" che nella città eterna si respira da molti anni. Un clima chiuso, pieno di disincanto e disamore per la città e, di conseguenza, per la comunità ecclesiale. I laici dovrebbero chiedersi come e perché si siano lasciati scappare un’occasione così: dopo tanto parlare e tanti convegni dedicati alla corresponsabilità tra gerarchia e popolo di Dio, questa era, appunto, l’occasione buona per metterla in pratica. È anche vero che il laicato romano vive da anni in una sorta di nascondimento nostalgico (la Roma degli anni del Concilio così viva e creativa, centro di cenacoli teologici, oggi non c’è più, così come il clima che preparò il convegno “i mali di Roma”, le denunce della Caritas diocesana di don Luigi Di Liegro, e le tant