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Francesco punta l'indice: corruzione e razzismo sono la vergogna della vita pubblica

Globalist, 18 dicembre 2018 La ramanzina di papa Francesco alla politica e ai politici nostrani si abbatte inesorabilmente in questo diciotto di dicembre, giorno nel quale viene dato alla stampa il testo del Messaggio per la 52ª Giornata mondiale della Pace che si celebrerà il 1° gennaio prossimo sul tema:  La buona politica è al servizio della pace . Già, la buona politica. Ad avercela. Quella che ha sotto gli occhi il gesuita Bergoglio non contempla il mito del web dominatore incontrastato di democrazia e coscienze, non si arrende alle promesse facili di un alfabeto politico dove la parola  speranza  è abbarbicata a un twitt di successo. Senza peli sulla lingua, con un linguaggio semplice e duro (all’occorrenza), Francesco lo chiarisce subito: «la ricerca del potere ad ogni costo porta ad abusi e ingiustizie». Sembra proprio un assaggio di alta politica, quella con la P maiuscola, rispetto ai piccoli drammi dei nostri confini nazionali. Sempre più incattiviti, rancorosi, ra

San Romero d'America, martire dei poveri

Globalist, 11 ottobre 2018 Quando, domenica 14 ottobre, mons. Oscar Arnulfo Romero sarà proclamato santo in piazza San Pietro insieme a Paolo VI, tanti penseranno che la Chiesa, dopo ben lunghi 38 anni di esilio ecclesiale imposti a  Monse ñ or , finalmente abbia chiesto scusa. In realtà, come spesso succede quando la grande storia dell’umanità si confonde con la piccola storia degli umili e dei disperati, l’evento di domenica, in qualche modo anticipato già tre anni fa quando Romero fu proclamato beato, ci dice quanto la profezia evangelica di un pastore, vescovo e uomo scorra oggi più viva che mai nelle vene del popolo di Dio e nei cunicoli sotterranei dell’umanità sofferente. Certo, ci voleva un papa latinoamericano come Francesco, per riconoscere le virtù eroiche e i miracoli di mons. Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso in  odium fidei il 24 marzo del 1980 dagli squadroni della morte che spadroneggiavano nel paese latinoamericano mentre celebrava la messa. Ci voleva

Ricordando fratel Carlo Carretto

C’è un insieme di nostalgia, gioia e riconoscenza nel far memoria di “questo” 4 ottobre di trenta anni fa. Nessuno avrebbe pensato (desiderato forse sì) che fratel Carlo Carretto, Piccolo Fratello del Vangelo, morto a Spello nel 1988 proprio nel giorno dedicato al santo di Assisi da lui venerato e preso ad esempio, un giorno o l’altro sarebbe stato ricordato con affetto e riconoscenza come testimone fedele del Vangelo e costruttore di buona speranza. Tanti anni sono passati. Oggi c’è papa Francesco. La Chiesa, non sola italiana, assaggia l’odore delle strade degli uomini, si pone in ascolto dell’umanità ferita e dimenticata. Credo che fratel Carlo si sarebbe trovato benissimo in questo tempo nostro così acciaccato, liquido, digitale, frammentato, ferito. Lo avrebbe accarezzato. Accompagnato lungo i confini della tenerezza e della comprensione. Gli avrebbe sorriso. Per poi punzecchiarlo a suo modo, davanti la Parola sacra, quella che salva. Di fratel Carlo inseguiamo quel suo s

Cosa c'è dietro l'opposizione rancorosa contro papa Francesco

Globalist.it del 28.08.2018 La campagna d’autunno contro papa Francesco ha avuto il tempo di sedimentarsi, come nelle migliori tradizioni del retroterra curiale rancoroso e vendicativo, in questa estate vissuta nel fango di un documento reso noto da un ex nunzio negli Stati Uniti, ma anche nei numeri veri di alcune inchieste giudiziarie nate dall’ascolto e dalla denuncia di terribili storie raccontate dalle vittime che hanno vissuto sulla propria pelle la vergogna degli abusi sessuali. Di ritorno dal viaggio in Irlanda, papa Francesco ha condannato duramente gli scandali legati agli abusi sessuali da parte del clero, parlando senza mezze misure del «fallimento delle autorità ecclesiastiche» nell’affrontare con adeguatezza la piaga della pedofilia. «Considerando la realtà dei più vulnerabili – ha detto Francesco - non posso che riconoscere il grave scandalo causato in Irlanda dagli abusi su minori da parte di membri della Chiesa incaricati di proteggerli ed educarli». E, a proposito

E' ora che Francesco acceleri

su   Globalist del 7 agosto 2018 Finalmente gli oppositori di papa Francesco possono sperare in un sospiro di sollievo. Ieri, sul quotidiano La Repubblica , Ilvo Diamanti ha pubblicato un sondaggio secondo il quale, udite udite, il papa regnante pare sia in calo di popolarità. Appena eletto, dal 13 marzo 2013 in poi, dicono i numeri, Francesco aveva l’88 per cento di popolarità. Oggi è sceso al 71 per cento. Per chi si occupa di numeri e di realpolitik ciò è normale. Nel caos di una Chiesa in burrasca dovuto allo scandalo Vatileaks che aveva portato alle dimissioni di Benedetto XVI – anche se le ragioni ufficiali risiedevano negli acciacchi fisici dovuti all’età di Ratzinger – Francesco era arrivato al comando della Chiesa universale in un momento di transizione, per i più benevoli, di crisi, per i critici. Crisi di testimonianza profetica. Di lieto annuncio. Già il nome, Francesco. E poi la residenza a Santa Marta, fuori dal Palazzo Apostolico. E poi ancora quel familiar

Nella bisaccia del pellegrino, la parola che cerchi

In questa estate duemiladiciotto che ci butta addosso tutta la crisi della postmodernità e la fragilità dei rapporti personali, comunitari, politici, la bisaccia del pellegrino ha bisogno urgente di far posto, oltre alle cose utili per il lento camminare, a parole che siano valore. Le parole che cerchi, caro amico della porta accanto, o che cerchiamo, caro “non so chi tu sia” lontano camminatore di mare e di terra, si colorano di sillabe di buona speranza.  Le parole, oggi ( il plurale ci attrae sempre, non è solo una questione semantica, è anche un fatto geopolitico… ), quelle che ci piacciono e che vorremmo qualcuno ci sussurrasse, diventano  la parola  che cerchi. Un singolare che è anche plurale. Una parola d’altri tempi. Parola sacra, certo, ma anche parola laica, che odora di cammini e allontanamenti. Un  ti voglio bene , per esempio. Un ciao, come stai. Un ti amo, perché no. Ho cura di te. La parola che cerchiamo è una parola gentile, sobria, di poche lettere, gar

La Chiesa e la pancia degli italiani

(pubblicato su Vino Nuovo - 1 giugno 2018) Da tempo la pancia del paese Italia ribolle di acido. Una miscela esplosiva che ha messo insieme insicurezza economica, precarietà lavorativa, razzismo, xenofobia, desiderio di protezione personale e comunitario (casa, quartiere, città, confini). Dal secondo dopoguerra a oggi la pancia degli italiani è stata, per fortuna, sempre “governata”, con equilibrio e maturità, dalla politica con la Dc e dalla Chiesa con i suoi corpi intermedi formati dalle parrocchie, dal mondo del volontariato, dell’associazionismo e dei movimenti, e da vescovi lungimiranti e intelligenti. Questa esasperazione forcaiola di oggi che si respira sui tram, sui bus, nei supermercati, persino a messa, e che trova alimento nei social network, è uscita fuori dal vaso perché ha perso proprio quel “tappo” che prima la teneva sopita. Finita la Dc, mi chiedo: ma il mondo cattolico italiano come mai è arrivato così impreparato di fronte all’esplodere della rabbia sociale

Se oggi noi giornalisti fossimo un po' di più "giuntelliani"

Per tanti anni amici e colleghi mi hanno spesso apostrofato con la frase: “sei giuntelliano”. Credo che ciò si riferisse non tanto al fatto che ho avuto, fin da adolescente, io ragazzo di periferia e non “figlio di papà”, la fortuna di essere stato allevato, grazie proprio a Paolo Giuntella, nella culla del cattolicesimo democratico, o che mi appassionasse la musica, le buone letture, il sigaro toscano e le osterie romane (le passioni di Paolo...). No, non è questo. Credo invece che l’appellativo “giuntelliano” si riferisse al modo in cui, fin da giovanissimo, mi sono approcciato alla scrittura e al mestiere di giornalista. Non nego che da ragazzo mi divoravo letteralmente ogni articolo di Paolo, ogni suo libro. Per me era una specie di droga. Quella scrittura intrisa di biografie impossibili, di punteggiatura al limite del genio e della sregolatezza, quel giornalismo che nella ricerca della verità osava sempre l’accostamento con l’Altrove, attraverso i sapori del cielo e della

Quella pazzia che ci libera tutti

A 40 anni dalla legge 180 Quella pazzia che ci libera tutti I cittadini di Trieste lo ricordano bene ancora oggi quel 25 febbraio 1973, quando la città fu letteralmente invasa da un corteo allegro e festante di “matti” – i pazienti reclusi nell’ex manicomio di San Giovanni, ora divenuto parco – che trainavano “Marco Cavallo”, l’opera in legno e cartapesta dal colore azzurro realizzata dentro l’ex manicomio stesso da degenti, medici, artisti e infermieri e ispirata a quel cavallo che, l’anno prima, era stato salvato dal macello perché ormai vecchio e stanco dopo tanti anni di onorato servizio come “trasportatore ufficiale” dei panni da lavare. Ecco, di quel giorno va ricordato un gesto, che rimane alla storia: le dimensioni di Marco Cavallo erano così grandi che non riusciva a passare attraverso il cancello di ingresso dell’ospedale psichiatrico. Franco Basaglia, allora direttore del manicomio di Trieste, per liberare il passaggio al cavallo, spaccò con una panchina di ghis

In memoria di Shoah

Il ventisette di ogni santissimo gennaio che Dio manda su questa terra, noi facciamo memoria. Abbiamo davanti agli occhi le vittime della Shoah, termine ebraico e biblico – tempesta devastante –, con il quale si indica lo sterminio del popolo ebraico durante il Secondo conflitto mondiale, e ne siamo sconvolti. Abbiamo studiato sui libri di storia, abbiamo ascoltato i racconti dei sopravvissuti, abbiamo udito le musiche suonate nel lager di concentramento interpretare litanie intrise di nostalgia e festa popolare. Noi, voi, io, tu, abbiamo il dovere di curare la memoria. Per tramandarla ai figli, di generazione in generazione. Per renderla ancora viva nelle nostre anime. Si fa memoria per ricordarci che il male non prevarrà mai più. Si fa memoria di una sobrietà del vivere, dell’allegria contagiosa, della bellezza del mondo, dell’ospitalità che dovrebbe essere la prima vera dichiarazione universale sui diritti dell’uomo. Si fa memoria di quando i nostri nonni e bisnonni non ced