In memoria di Shoah
Il
ventisette di ogni santissimo gennaio che Dio manda su questa terra, noi
facciamo memoria. Abbiamo davanti agli occhi le vittime della Shoah, termine ebraico e biblico – tempesta devastante –, con il
quale si indica lo sterminio del popolo ebraico durante il Secondo conflitto
mondiale, e ne siamo sconvolti. Abbiamo studiato sui libri di storia, abbiamo
ascoltato i racconti dei sopravvissuti, abbiamo udito le musiche suonate nel
lager di concentramento interpretare litanie intrise di nostalgia e festa
popolare.
Noi, voi, io, tu, abbiamo il dovere di curare la memoria.
Per tramandarla ai figli, di generazione in generazione. Per renderla ancora
viva nelle nostre anime.
Si fa memoria per ricordarci che il male non prevarrà mai
più. Si fa memoria di una sobrietà del vivere, dell’allegria contagiosa, della
bellezza del mondo, dell’ospitalità che dovrebbe essere la prima vera
dichiarazione universale sui diritti dell’uomo. Si fa memoria di quando i
nostri nonni e bisnonni non cedettero all’oppressione con il gesto gratuito di
un rifugio sicuro dato ai “fratelli” ebrei, quando ancora il pane, quello vero
e quello giusto, veniva diviso in parti eguali nella mensa povera ma piena di
invitati. Si fa memoria di come sia stato possibile aggrapparsi alla vita
recitando l’alleluja dei poveri. Si
fa memoria di come in molte case la follia della bontà abbia vinto sul seme
della violenza.
Io, tu, noi, voi, oggi, in questo ventisette
santissimo gennaio che Dio manda su questa terra, ascoltiamo con tenerezza melodie
e danze della tradizione yiddish, stappiamo una bottiglia di quello buono,
leggiamo una pagina dimenticata di Anne Frank, accendiamo il fuoco del camino e
assaggiamo knishes di patate e spinaci e
carciofi alla giudia.
E poi, verso sera, in memoria di Shabbat, leggiamo
Pentateuco, Torah.
La memoria di una storia antica, con la benedizione
di Dio che sorride.
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