Il deserto, le Ceneri e la Risurrezione (secondo Adriana Zarri)
Nel
primo giorno di quaresima mi giungono tra le mani alcune sollecitazioni
interiori sulla preghiera di Adriana Zarri, raccolte una trentina d’anni fa ma
pubblicate lo scorso anno da Rubbettino con il felice titolo di Nostro Signore del deserto. Meditazioni
sulla preghiera.
La
Zarri, scrittrice, teologa ed eremita, voce originale e profetica del panorama
cattolico scomparsa nel 2010, una vita spesa sul crinale di una fede sempre
limpida e di una critica alle incrostazioni temporali che avvolgono lo Spirito,
ci riporta, con questo libro, all’essenza stessa della fede e della mistica
cristiana. Non c’è zavorra estetica nel suo pregare, né richieste petulanti o
obblighi da assolvere, né tantomeno strizza l’occhio a riti o pratiche
religiose.
In realtà,
nell’universo mistico della Zarri, c’è quel connubio, sempre felicissimo laddove
riuscito, tra cielo e terra. La fede, per mezzo della preghiera, si rafforza nel
verso degli uccelli, nel ritmo della natura e delle stagioni che fa sbocciare i
fiori e crescere i frutti, nell’amicizia tra gli uomini che sfocia in baci e abbracci.
Perfino il pudore gestuale, il linguaggio gestuale, i messaggi espressivi del
corpo, sono anticamera del sacro, dove il pregare non è chiedere le cose, ma è
il chiedere il regno e il pane.
Una preghiera
quasi “carnale”, quella che ci viene proposta, quasi un erotismo della preghiera che non ammette ostacoli mistici e anzi, lascia
al lettore e al cercatore di silenzi dell’anima, quel senso di approdo verso un
desiderio di deserto, tipicamente femminile,
perché la Zarri è fortemente teologa donna, dove l’amore (al femminile)
contagia e rende liberi.
La
preghiera è una questione ontologica, cioè del nostro essere, del nostro stare
al mondo. E quindi è un fatto d’amore. Fede, amore e preghiera si confondono e
si distanziano, si toccano e si lasciano, prendono forma insieme e si nutrono a
vicenda. Su tutti, l’amore viscerale per Gesù di Nazareth, l’uomo figlio di Dio
che ha saputo abbracciare l’umanità in una follia collettiva e individuale d’amore
puro.
Le
Ceneri di questo duemilaquindici dopo la Sua venuta, ci dicono che l’urgenza di
tornare alle piccole cose della vita quotidiana hanno in sé qualcosa di divino.
L’ultima goccia di amore del buon Dio che riversa su di noi, il popolo
traditore, non meritevole di atto di fiducia sacra.
Qui,
di nuovo, parte la sfida. Una Quaresima che ci appare lontana, per consuetudini
legate alla velocità e alla frammentazione del vivere, diventa anche per noi,
umanità allo sbando, una possibilità concreta di appartenere al sacro. Per
poche ore, per un attimo, per quaranta giorni.
Respirare
con esso, sentirsi consumato da esso, e gioire con lo Spirito che pure è legato
a frammenti di vita, rafforza, talvolta allieta la nostra anima e la spinge
verso i territori più ardui e difficili della Risurrezione.
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