Dopo il Family day: i cattolici, la famiglia, il potere


Dopo l’abbuffata mediatica del Family day è lecito porsi alcune domande su cosa abbia voluto dire questo evento alla pubblica opinione, laica e cattolica. Nessuno può negare la libera e appassionata affluenza di tante famiglie italiane (la stragrande maggioranza comunque appartenente al movimento ecclesiale dei Neocatecumenali, al quale il leader del Family day, il medico Gandolfini, appartiene), così come c’è da rimanere sorpresi rispetto ai “numeri” sparati dall’organizzazione – chiunque abbia partecipato a concerti pop e rock al Circo Massimo sa quante persone può contenere al massimo della sua capienza –. Un Family day assai diverso da quello del 2007, svoltosi in piena era Ruini – anche se era appena subentrato il card. Bagnasco a capo dei vescovi italiani – dove era evidente il fortissimo desiderio da parte del grande Richelieu italiano, di bloccare i Dico dell’allora ministro Rosy Bindi e di dare uno scossone al governo Prodi. C’è da aggiungere, però, che anche nel 2007 la fronda del cattolicesimo italiano, benché apparentemente compatta, non lo fu in realtà, perché il cosiddetto laicato “adulto” e più aperto alle istanze conciliari non visse felicemente quella chiamata alle armi, e disertò, se proprio non pubblicamente, almeno individualmente l’evento.
Il Family day di sabato scorso, invece, nasce da un equivoco di fondo. E cioè dal silenzio ufficiale della Cei e del papa, dopo che nei giorni precedenti lo stesso Bagnasco, presidente della Cei, aveva invece promosso la manifestazione attraverso un’intervista. In realtà, alla passione spontanea di molte famiglie sopraggiunte a Roma, si è accompagnata una volontà, non espressa pubblicamente, da parte di alcuni vescovi e del clero, a partecipare. Un classico, si dirà, della prassi ecclesiale e clericale di questo paese. Tra i fautori dell’interventismo non è mancato l’orfano dei valori non negoziabili, Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste, e sull’altro versante, un sorprendente Giancarlo Bregantini, vescovo di Campobasso.
A pensarci bene i Family day nascono e si sviluppano sempre quando al governo del paese c’è il centrosinistra. Nel 2007 a protestare in prima fila c’erano i tre politici di punta del centrodestra, a oggi tutti e tre felicemente separati, e due di essi doppiamente separati. Ma, a parte questioni di etica o estetica familiare relative ai politici che ci governavano, alla quale, ahimè, la Chiesa di allora fece finta di non accorgersene, a parte nell’ultimo periodo governativo di Berlusconi con la vicenda delle “olgettine” quando proprio Bagnasco si fece sentire stigmatizzando il comportamento del capo del governo, non si può dire che la famiglia sia stata al centro delle politiche economiche e sociali del nostro paese, né dei governi di centrodestra ((che comune hanno governato questo paese per la maggior parte), né dai governi di centrosinistra.
Politicamente lasciata allo sbando, malgrado i pronunciamenti e le promesse elettorali, mi chiedo, sul versante ecclesiale, quanto la Chiesa italiana abbia fatto nei propri programmi pastorali e nella crescita di una spiritualità familiare attenta ai cambiamenti dei tempi. In questo, i Neocatecumenali hanno intercettato per primi un’esigenza e una domanda di aiuto da parte della “cellula famiglia”, e, comunque la si pensi in proposito, hanno rappresentato e rappresentano tutt’ora una risposta teologica, biblica, pastorale e “politica” che altrove non c’è.
Restano i contenuti allora, quelli che al Circo Massimo sono stati posti all’attenzione della pubblica opinione in forma battagliera e non dialogante. Il tema del contendere era, doveva essere, il ddl Cirinnà sulle unioni civili, ma la piazza ha ascoltato soprattutto parole dure e legittime su adozioni e utero in affitto, argomenti non trattati dal disegno di legge in oggetto.
Una piazza omaggiante allo scontro ideologico, mentre in Parlamento un senatore cattolico, Giuseppe Lumia, sta tentando di mediare con alcuni emendamenti su alcuni punti critici già evidenziati dalla famosa lettera dei parlamentari “cattodem”, e cioè la questione delle unioni civili da non equiparare alla famiglia attraverso i continui riferimenti al diritto matrimoniale. Sul punto più critico, la stepchild adoption, sul quale il Pd ha lasciato libertà di coscienza, leggendo bene il testo al netto delle diverse e legittime opinioni rispetto a un tema che è delicato di sua natura, l’articolato non pone l’accento sul diritto dei genitori omosessuali ad avere “per forza” un figlio ma sul diritto dei figli ad avere un genitore in casi particolarissimi e sotto precise tutele e garanzie. Questo istituto giuridico in Italia esiste già dal 1983, ma viene applicato solo alle coppie eterosessuali. Il ddl Cirinnà invece punta a estenderlo anche a quelle omosessuali, dopo le sentenze del Tribunale dei Minori di Roma.
Qualcuno si chiede intanto se il Family day avrà un suo sfogo in ambito politico. Orfano di Berlusconi e del suo fallimento politico, probabile che il centrodestra, o forse più la destra, si aggrappi a qualcosa di forte e ideologico, come la famiglia. Potrebbe ricompattare di nuovo un centrodestra sfibrato da continue lotte intestine e da un vuoto politico che ormai dura da anni. Chissà.
Nel frattempo c'è da aspettare un evento ecclesiale non di poco conto, almeno in Italia, dove i confini tra Chiesa e politica sono sempre labili e convergenti. A marzo del 2017 il card. Bagnasco dovrà lasciare la presidenza della Cei, e quindi avremo una nuova leadership ecclesiale, peraltro eletta con il nuovo sistema, più democratico, voluto da papa Francesco. Una terna di nomi, votati da tutti i vescovi, sarà presentata al papa che poi sceglierà.
Sarà un momento davvero importante. Fino a quel giorno papa Francesco avrà già cambiato un terzo dei vescovi italiani e pian piano, ma inesorabilmente, l’universo ecclesiale italiano sarà perlomeno trasformato, rispetto a quello nato e cresciuto nel ventennio ruiniano. Una nuova classe dirigente di vescovi è in arrivo, rispetto a un clero vecchio, e sarà il banco di prova degli anni a venire.
A una società italiana, pianamente secolarizzata, farà da contraltare la misericordia di Francesco insieme a una Chiesa in cammino sulle strade del vangelo e meno battagliera rispetto a mediazioni con il potere di turno. Un’occasione davvero ghiotta per il movimento cattolico per ridisegnare spazi di impegno pubblico, se vorrà approfittarne.
E la famiglia? Certo non scompare con il ddl Cirinnà. Ritrovarne le tracce perse nel gran caos della globalizzazione e della secolarizzazione è compito della società civile, laicamente, e, per chi crede, è la possibilità di annunciare il messaggio evangelico con parole nuove ma ben aggrappate alla Parola sacra che salva. Le piazze non servono più.

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