Le ragioni del "no" e il tempo del "sì"
Appartengo
a una generazione orfana di “sì”. Il “no” mi è piovuto addosso in una stagione
beffarda, lasciandomi poco spazio per pensarlo. In politica, il ventennio
berlusconiano ha fatto a pezzi quel che restava del bene comune e ha tradito il
grande sogno liberale di un Paese libero e giusto. Il mio “no”, quindi, è stato
al pari di una risposta estetica, “corporale”. In economia, il ladrocinio della
finanza globale nei confronti dei popoli del mondo e anche della middle class
europea, mi ha portato a viaggiare verso le latitudini della “decrescita
felice” e del consumo responsabile. Nella Chiesa, infine, il ventennio
wojtyliano-ruiniano, mi ha lasciato la sensazione che una Chiesa chiusa, non
aperta al mondo, vissuta come religione civile, la Chiesa della “legge” e dei
valori non negoziabili, ebbene “quella” Chiesa non mi apparterrà mai.
Oggi è un tempo di passaggio. Ne sento
l’odore solcando le vie delle nostre città o semplicemente vivendo il
quotidiano delle nostre vite. Alla frammentazione, sembra aver preso posto la
battaglia. Alle fragilità, anche esistenziali, il contarsi in rete.
Ai
miei “no” appassionati e contrariati di allora, si oppone il nuovo di una crisi
di sistema, sociale e relazionale insieme, che disegna sulla terra, e perfino
nel cielo – per chi ci crede – nuove rotte di umanesimo possibile.
Alle ragioni del “no” oppongo oggi il tempo
del “sì”.
In
politica, con una ventata di riformismo laico. Pratico, non idealista. Dico sì
alle riforme possibili, e a una tracciabilità della responsabilità nella res
publica che sia individuale e lasci segni di cittadinanza condivisa. Ai
populismi, ai razzisti di ogni dove, alla democrazia via web, agli utopisti
delle rivoluzioni non tanto incompiute ma nemmeno iniziate, faccio presente il
mio “sì”. Tollerante, rispettoso.
In
economia, dove liberismo e monetarismo senza scrupoli capiranno che è
arrivato il loro capolinea. Alla dittatura del pareggio di bilancio pubblico,
contrappongo il mio sì verso un post-keynesianesimo dove benessere, welfare e ricchezza vadano di
pari passo.
Nella
Chiesa, infine, dico “sì” alla buona notizia raccontata da papa Francesco. Alla Chiesa in dialogo con il mondo, ospedale da
campo per l’umanità ferita e impoverita.
Un
tempo per il “sì” e per i tanti “sì” della vita. Per sperare in un Paese
migliore e in una Chiesa più bella. E per tentare di vivere il “quanto basta”,
con i talenti che ognuno ha.
Un
tempo che lascerà tempo opportuno per guardare alle ragioni del “no” con
benevolenza e coscienza. E tradurle, queste sante benedette ragioni del “no”,
in pratiche di bene comune.
Un
tempo per il “sì” individuale ancor prima che politico. Di buon senso e buona
speranza.
Utile (anche) al buon governo di domani.
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