La profezia e i profeti. Su don Milani e dintorni...
Verrebbe
da dire: don Milani fa parlare di sé anche dopo morto. Pare proprio così,
infatti, a leggere e ascoltare alcune dichiarazioni post visita di papa
Francesco a Barbiana.
Non
mi meraviglio. La profezia (e i profeti) hanno sempre avuto vita difficile nella
storia della Chiesa. A maggior ragione dopo, ma anche un po’ prima, dello svolgimento
del Concilio Vaticano II. Che c’è una parte di Chiesa allergica alla profezia
biblica e ai profeti è cosa nota. L’istituzione, qualsiasi essa sia, non va d’accordo
con la profezia. Ma forse è giusto così. Un’istituzione, al contrario, accondiscendete
con la radicalità del Vangelo annunciata e proclamata da chi incarna con la sua
vita la profezia, farebbe intorpidire la profezia stessa, che invece ha bisogno
di libertà, creatività, coraggio. E possibilità di provocare la speranza.
Non
rimango quindi sorpreso dalle dichiarazioni date alla stampa e nel breve saluto
rivolto al papa, dall’attuale arcivescovo di Firenze sulla presunta santità di
don Lorenzo Milani. Il linguaggio usato, sempre diplomatico e rispettoso, non tradisce quello che è un sentimento di accortezza nei confronti della profezia comunque diffuso in certa Chiesa, in taluni gangli del potere temporale della
Chiesa stessa. Un sentimento pienamente incardinato nella dottrina secolare
della Chiesa, a parere ovviamente di chi professa tale sentimento. Ma un
linguaggio completamente diverso, ad esempio, e sempre su don Milani, lo ha
usato il nuovo presidente della Cei.
È anche vero che il popolo di Dio
spesso si incarognisce a giudicare i profeti, a incasellarli in teorie politiche,
in organismi sociali, in una sorta di amicizia identitaria da condividere nel proprio
quarterie, comunità, gruppettino. In questo senso mi sorprende di più il
piccato (e un po’ acido) articolo di Sergio Tanzarella su Adista nei confronti di Enzo Bianchi, colpevole, a suoi occhi, di
aver mosso dei rilievi critici (rilievi noti e condivisi con chi si occupa di
queste cose) sulla figura “pastorale” di don Milani durante la presentazione
dell’Opera omnia dei Meridiani sul prete fiorentino.
Insomma, la profezia a volte divide, a
volte unisce. Preferisco quella che unisce. Mi è capitata la stessa sensazione
alcuni anni fa, quando scrissi la biografia per Rizzoli di don Tonino Bello,
perché nel raccontarlo faticai molto a togliere i tanti vestiti che parecchi gli avevano appiccicato
addosso, come se don Tonino fosse solo ed esclusivamente il vescovo contro gli
armamenti, il vescovo della pace, il vescovo dei barboni. E non fosse, semplicemente,
un prete e poi vescovo capace di “raccontare” la Parola come meglio di altri e
usare (e praticare) termini che oggi sembrano tornare di moda, come tenerezza, misericordia,
sorriso, ascolto, accoglienza, ospitalità. La stessa cosa mi accadde nella
biografia di Carlo Carretto. Anche lì, restituire ai lettori e al popolo di Dio
la complessità del profeta di Spello è stata impresa ardua. Un gigante della spiritualità ricordato, in certi ambienti, solo per aver votato a favore del divorzio, e non invece per il dono di una parola chiara, accogliente, dal sapore di Dio, e per uno stile di vita pienamente evangelico.
La profezia credo che vada prima
capita, e poi accolta. I profeti (se ce ne sono) ascoltati, e poi accolti. Gli
anni post conciliari, purtroppo, ci hanno consegnato un pezzo di storia avara
di profezia. Poi, all’improvviso, lo Spirito si fa sentire e ci manda Francesco.
Ecco perché ho sempre pensato che la
profezia e i profeti, più che un problema dell’istituzione, siano un problema
nostro. Entrano a far parte della nostra vita,
e, alcune volte, ce la cambiano. E siamo noi, il popolo di Dio, anche la
coscienza laica di un popolo e una nazione, che le fa fare, alla profezia, strada
buona nei nostri percorsi di vita e cammino comunitario.
Se la profezia è vera e parla con la voce
di Dio, non ha bisogno dell’imprimatur dell’istituzione. Essa parla al cuore
degli uomini e apre cammini fecondi di incontro e speranza.
Poi, a un certo punto del suo percorso
storico, si prende le sue rivincite, biblicamente
parlando.
Non saranno i vescovi a fermarla o qualche burocrate da ex Sant’Uffizio.
Non saranno i vescovi a fermarla o qualche burocrate da ex Sant’Uffizio.
Sarà il popolo di Dio a darle il benvenuto
in questa terra e in questo cielo.
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