La Chiesa e la pancia degli italiani

(pubblicato su Vino Nuovo - 1 giugno 2018)

Da tempo la pancia del paese Italia ribolle di acido. Una miscela esplosiva che ha messo insieme insicurezza economica, precarietà lavorativa, razzismo, xenofobia, desiderio di protezione personale e comunitario (casa, quartiere, città, confini).
Dal secondo dopoguerra a oggi la pancia degli italiani è stata, per fortuna, sempre “governata”, con equilibrio e maturità, dalla politica con la Dc e dalla Chiesa con i suoi corpi intermedi formati dalle parrocchie, dal mondo del volontariato, dell’associazionismo e dei movimenti, e da vescovi lungimiranti e intelligenti.

Questa esasperazione forcaiola di oggi che si respira sui tram, sui bus, nei supermercati, persino a messa, e che trova alimento nei social network, è uscita fuori dal vaso perché ha perso proprio quel “tappo” che prima la teneva sopita. Finita la Dc, mi chiedo: ma il mondo cattolico italiano come mai è arrivato così impreparato di fronte all’esplodere della rabbia sociale di oggi?

Per tanti anni nel mondo cattolico – gerarchia e popolo – i valori non negoziabilisono stati i veri protagonisti della vita ecclesiale e politica italiana e la cosiddetta “religione civile”, incarnata dal “Richelieu italiano”, il card. Camillo Ruini, se da una parte ha indirizzato una certa moral suasionai governanti dell’epoca – in particolare al centro destra – impedendo anche alcune derive estremiste che vediamo purtroppo oggi, dall’altra non si è resa conto di quello che succedeva all’interno della società italiana. Ma non solo: anche le parrocchie, la liturgia, lo spazio della condivisione comunitaria, venivano attraversate da una crisi profonda e virale. Come dire: ci si è preoccupati di governare la “testa” della comunità nazionale, senza pensare al fatto che il corpo ormai andava per i fatti suoi.

E il mondo cattolico? Dove è stato il mondo cattolico in questi anni di tormentata crisi di transizione etica e di deterioramento dello spazio del sacro? Sono state sufficienti le splendide testimonianze di volontariato, di vero e proprio welfare state che ha sostituito lo Stato, o delle tante iniziative a difesa della legalità, a invertire la rotta dell’attuale disagio sociale? E le scuole di formazione, hanno davvero inciso nella realtà giovanile che, forse, non a caso, comincia a disertare in massa ogni discorso relativo a un Dio esigente? Dove è stato il fallimento?

D'altronde basta girare un po’ per le nostre comunità ecclesiali per accorgersi dello sbandamento in atto. Le parrocchie e comunità ecclesiali vivono, oggi, questa fase di rabbia. Una perdita di percezione della vera identità liturgica, sacrale e laicale di un popolo di Dio che, oltre a sentirsi smarrito, forse davvero ricomincia a credere che almeno i recinti del sacro possano offrirgli quel senso di protezione che altrove non riesce più a trovare.

La misericordia e la «Chiesa come ospedale da campo», per utilizzare le parole di papa Francesco, sono il simbolo della Chiesa in uscita che vuole abbracciare proprio questa umanità dolente e perdente. Sta facendo breccia nel popolo di Dio. Ma ho l’impressione che questo non basti più. 

Tra la Chiesa in entrata della protezione e la Chiesa in uscita della misericordia va trovata una via di mezzo. Recuperare la mediazione, praticare la corresponsabilità tra gerarchia e popolo di Dio, e ricominciare dai “fondamentali” del Vangelo, e assumerli come metodo democratico e pastorale, può essere una via per far ritrovare alle nostre comunità, prese d’assalto da questo tempo “liquido” e maledetto, il senso di un impegno etico e civile che faccia bene al Paese.
Il laicato cattolico è quasi sparito dalla contesa politica. I pastori presi dalla crisi delle vocazioni e dal riordino delle diocesi. È ora di darsi una sveglia.

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