Generazione (e anomalia) Bose

Con una felice intuizione lessicale, lo storico del cristianesimo Massimo Faggioli ha parlato recentemente di Generazione Bose, riferendosi al come la Comunità di Bose, attraverso il suo fondatore, il laico-monaco Enzo Bianchi, abbia influenzato teologicamente, pastoralmente, ecclesialmente, perfino politicamente e socialmente, tutta una generazione di cristiani impegnati in un lungo percorso storico che va dal pontificato di Wojtyla a quello di Benedetto XVI.
Sì, la parola giusta per definire un tempo e uno spazio in cui da Bose ha soffiato forte il vento rinnovatore del Concilio Vaticano II, è proprio questa: Generazione Bose

Tantissimi, soprattutto nell’arco temporale della prima “fase” storica di Bose che va dal momento della sua fondazione, nel 1965, ai primi anni degli anni duemila, sono stati accompagnati da Bianchi e dalla Comunità a pensare la Chiesa, il mondo e la società in modo nuovo e a vivere il vangelo sulla strada qualche volta acciaccata delle relazioni, degli affetti. Con una voglia di sentirsi parte attiva di una Chiesa che guarda al mondo con fiducia e dialoga con esso. Non si può dimenticare, in questa fase, la critica alla religione civile, agli atei devoti e ai valori non negoziabili che Bianchi non ha mai messo di sottolineare. Poi, in una seconda fase di espansione della Comunità, che giunge fino a oggi al pontificato di papa Francesco, la formazione e la critica selettiva hanno lasciato giustamente lo spazio anche a una esperienza più popolare e inclusiva.

Generazione Bose per il gusto di un cristianesimo sobrio, bello, creativo, libero, coraggioso, paziente e mai rivoltoso, nella sua radicalità fortemente selettivo ma che non ha rinunciato alla sua popolarità. Generazione Bose perché questo cristianesimo non si è organizzato in movimenti, in gruppi particolari, ma ha fatto breccia semplicemente nella vita di chi si è formato a Bose. Un cristianesimo partecipe della vita del Paese, attento a una Chiesa semper reformanda, e per quello che ha potuto, in sintonia con quelle che Giorgio la Pira chiamava le attese della povera gente. Sintonia con le fragilità e le povertà, e sintonia, soprattutto negli ultimi anni, con la questione dei migranti in cerca di pane e libertà.

Ma, inutile nascondercelo, Bose ha rappresentato anche una dolce, appassionata e non controllata anomalia in un mondo, quello ecclesiale, che non è ben allenato a sopportare per lungo tempo le anomalie. Un’anomalia, anche qui, che non si è sedimentata solo all’interno della Comunità di Bose, ma ha preso le strade delle parrocchie, delle congregazioni religiose, degli intellettuali, persino agnostici, persino atei. Come se da quel sacro fuoco vivo di Bose che ardeva sempre di più, la cenere si sia posata, complice il vento, su una gran fetta del cattolicesimo italiano. Anomalia liturgica, con un Salterio di Bose che pian piano è stato adottato da molte comunità religiose e laiche, anomalia teologica-intellettuale, con lo scoprire nell’umanità di Gesù di Nazareth il segreto di un annuncio del vangelo profetico, anomalia istituzionale-gerarchica, con quell’essere monaci ma laici al contempo stesso e un’autonomia finanziaria che ha permesso libertà e coraggio. C’è anche un’anomalia architettonica, perché persino le chiese costruite da Bose hanno una loro luce particolare, un loro stile, uno spazio per l’altare e via dicendo, un’anomalia musicale, questa sì davvero di altissimo livello, con la musica sacra a disposizione della litania dei salmi ma anche del popolo di Dio, un’anomalia editoriale, con la edizioni di pregio Qiqajon, un’anomalia “ospitale” che nel tempo si è rafforzata anche con un accento imprenditoriale. E, infine, come dimostra l’ultima esperienza di vita insieme tra un gruppo di sorelle di Bose e un altro gruppo di suore Benedettine al monastero di Civitella San Paolo, nei pressi di Roma, un’anomalia comunionale. Un’esperienza comunque unica nel panorama religioso italiano.

Generazione Bose ma anche, a causa dell’eccessiva esposizione mediatica di Enzo Bianchi, anti-generazione Bose. Perché se è vero che tanti sono cresciuti sotto l’ombra dei sermoni di Enzo Bianchi, altrettanto va detto che invidia e gelosie hanno fatto breccia ovunque. Invidia e antipatie che sono cresciuti in maniera esponenziale soprattutto nel 2013, quando, in occasione dei 70 anni di Enzo Bianchi, l’editrice Einaudi, caposaldo della cultura laica, gli ha dedicato un libro dal titolo La sapienza del cuore, Omaggio a Enzo Bianchi, una raccolta di scritti di personaggi noti che non hanno lesinato a omaggiare appunto il fondatore, salvo poi inabissarsi in un colpevole silenzio, almeno pubblico, in questa fase di crisi della Comunità.

Per rimanere all’attualità, nell’ultimo comunicato pubblicato dalla Comunità di Bose, c’è scritto che «a partire dai prossimi giorni, dunque, per il tempo indicato nelle disposizioni, essi vivranno come fratelli e sorella della Comunità in luoghi distinti da Bose e dalle sue Fraternità». Questo fa presagire che i quattro allontanati, siano ancora, di diritto e di dovere, fratelli e sorelle della Comunità. Ciò significa che non sono stati cacciati, ma semplicemente allontanati. E, suppongo, avranno diritto di voto, come gli altri, alla prossima elezione del capitolo. 
Nello stesso tempo, sento un po’ di stridore tra la parola “fraternità”, tanto usata sia in questo che in altri comunicati, e la sua effettiva difficoltà, almeno in questo caso, a essere praticata.
Il tempo e il silenzio su tutta l’intera vicenda di questi giorni ma anche sulla storia della Comunità di Bose sarà buon giudice.

Oggi c’è una novità, e non di poco tempo. La storia di vita di Bose è stata derubricata a faccenda ecclesiale. Mi auguro che i passi in avanti che si andranno per forza a fare, abbiano almeno il coraggio di guardare anche un po’ indietro. 
La memoria e il futuro. Ce ne abbiamo tutti bisogno.

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