"Fratelli tutti". La musica sociale di papa Francesco

di Gianni Di Santo 


«Egli non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio». Così papa Francesco, riferendosi al Poverello di Assisi, nell’enciclica Fratelli tutti.


Lo confesso: sono spiazzato. Da un linguaggio che va fuori dal Tempio per abbracciare il mondo. Sorpreso per la mancanza di codicilli e citazioni canoniche che vanno a pescare nel solito linguaggio ecclesiale, e per la presenza di una tenerezza, ma anche di un amore sconfinato per gli uomini e le donne di questo mondo. Tutti compresi: cristiani, musulmani, ebrei: Tutti. Che nessuno si senta escluso.


Sì, conosciamo Francesco. Sappiamo quello che ha voluto dire quando si è presentato al soglio di Pietro e ha deciso di chiamarsi Francesco. Sappiamo che già quel gesto è stato segno diverso, rottura con le consuetudini del passato, perché la Chiesa usciva per strada a incontrare gli uomini.


Ma qui c’è dell’altro. Un “altro che sconfina dai ritagli di una cultura curiale, perché istituzionale, e va fuori bordo, davvero oltre, addirittura fuori dal clima conviviale di Santa Marta. Già, il Tempio e il mondo. Che miracolo. E non si dica che questa enciclica è il frutto della secolare tradizione della Dottrina sociale della Chiesa, perché qui la Dottrina sociale esce dai tomi e dai convegni di studi imparati a memoria, per districarsi lungo le strade impervie di una Chiesa che da ospedale da campo fa un passo in più verso unordine mondiale che dovrà per forza cambiare. Scavalca muri, costruisce ponti, reclama la riforma dell’Onu, tuona contro la pena di morte, dà un colpo di spada al capitalismo oggi trionfante, quello finanziario e senza regole, rifiuta la cultura dello scarto, e quindi, di pari passo, abbraccia gli scartati del pianeta. Non si parla qui di cristianesimo, ma di amore per l’umanità. Ma non è proprio il cristianesimo, il trionfo dell’amore per ogni uomo?

È davvero Francesco l’unico leader mondiale, in questo momento, che sa parlare a tutti. A chi detiene le leve del potere, fino alle periferie del mondo. E le religioni, con le loro differenze, contribuiscono a questo linguaggio in favore di unumanità smarrita che ha bisogno di giustizia, pace, redistribuzione del reddito, salute, benessere, felicità.


Già me li immagino i contrari a Francesco. Con i loro articoli velenosi sulla presunta superiorità del cristianesimo. D’altronde li capisco. Queste parole contenute nell’enciclica sono dure da digerire. 


Le questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra le mie preoccupazioni, spiega Francesco. «Negli ultimi anni ho fatto riferimento ad esse più̀ volte e in diversi luoghi. Inoltre, se nella redazione della Laudato si’ ho avuto una fonte di ispirazione nel mio fratello Bartolomeo, il Patriarca ortodosso che ha proposto con molta forza la cura del creato, in questo caso mi sono sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale mi sono incontrato ad Abu Dhabi per ricordare che Dio “ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità̀, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro”».

Pensate un po’. Stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Ecco, questo è il miracolo.

Il miracolo di un cristianesimo che si fa vangelo vivo in dialogo con lumanità, ma non per questo che chiude un occhio di fronte alle emergenze planetarie. La fraternità come nuovo linguaggio del nuovo millennio che ci sta davanti.


E oltre a questo, infine, il Papa tiene a esplicitare che si è sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. «Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld».


Ecco, basterebbe questo, per scompigliare lordine delle cose e rimanere sorpresi. Ma c’è pure una chicca: una nota sperduta nelle oltre 70 pagine dell’enciclica, che va letta ovviamente tutta. 

Fa riferimento a Vinicius de Moraes, poeta, musicista e compositore brasiliano. È la musica sociale di papa Francesco che torna a essere la pietra fondante di un pontificato che non ha paura del futuro.

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