Quel rapporto privilegiato dei preti di Roma con il potere …



La Chiesa di Roma ha sempre avuto un particolare rapporto di vicinanza con il potere, non solo perché c’è la Santa Sede, ma anche perché Roma città è la sede politica della nazione. Un potere che genera consuetudini relazionali, alimenta burocrazie infinite, crea invidie e gelosie negli uffici curiali. In questo senso, il famoso detto di Andreotti, “il potere logora chi non ce l’ha”, qui ha impiantato felicemente radici.

In questa commistione tra potere politico e spirituale/religioso si inserisce la vicenda della “giovane” diocesi di Roma. Una diocesi molto estesa territorialmente, con circa 330 parrocchie, divisa in cinque settori, Nord, Sud, Centro, Ovest ed Est con relativi vescovi ausiliari. I preti della diocesi sono divisi i tre grandi gruppi: preti secolari (oggi i preti “romani di Roma” sono davvero pochissimi), preti di stretta osservanza o provenienza neocatecumenale e preti appartenenti a ordini religiosi. Questo, già in partenza, rende la diocesi ingovernabile.

Per tradizione, ogni parroco è vescovo nella propria parrocchia. E Roma diocesi ha sempre sofferto di una mancanza di un programma pastorale condiviso con tutti. Perché semplicemente, ognuno va per conto suo.

 

Alla Chiesa di Roma, come spiega molto bene la nuova Costituzione apostolica relativa al Vicariato, appartengono a proprio titolo i membri del Collegio Cardinalizio. Qui hanno sede le Istituzioni della Curia Romana. Vi si trovano inoltre gli organi di governo di un gran numero di Istituti di Vita consacrata e Società di Vita apostolica, istituzioni culturali della Chiesa e gli uffici centrali di diverse organizzazioni cattoliche internazionali. Roma è altresì la sede primaziale d’Italia e la sede della Conferenza Episcopale Italiana, nonché di varie organizzazioni apostoliche nazionali.  A Roma studia e vive un elevato numero di presbiteri, di religiosi e di cristiani laici provenienti dalle varie parti del mondo. 

 

Non bisogna sottovalutare, in questa commistione di potere, il ruolo dei cardinali titolari delle sedi cardinalizie, che spesso hanno ruoli chiave in Vaticano. Come è noto, essi non amministrano le parrocchie a cui sono destinati, ma non sfugge all’occhio del popolo il fatto che spesso corrono il rischio di fungere da “protettori” dei loro parroci. Se un parroco ha da lamentarsi, ricorre alle cure spirituali del “suo” cardinale. E se ciò non bastasse, scatta la telefonata direttamente al Papa.

 

Con Camillo Ruini, vicario di Roma dal 1991 al 2008, i preti erano felici e contenti. Per due motivi: il primo è che il cardinale li lasciava fare, ognuno poteva fare e disfare nella sua parrocchia come meglio credeva. Il secondo motivo risiede nel fatto che i parroci avevano un certo timore referenziale nei confronti del cardinale, noto per il suo stile a volte “vendicativo”.

 

I rapporti tra preti e cardinale vicario sono andati peggiorando nel tempo quando alcuni di essi (molti) scrissero una Lettera ad Agostino Vallini, vicario di Roma dal 2008 nel 2017, nella quale esprimevano tutto il loro disappunto per il governo della diocesi.

 

Con Angelo De Donatis, vicario dal 2017 a ieri, le cose non sono migliorate. Se oggi si imputa al cardinale un “non” governo della diocesi (tra l’altro espresso in modo chiaro da lui stesso quando dichiara nella Lettera di commiato che «nello stare vicino ed accompagnare in particolare i preti, ho compreso sempre più che questa Chiesa, non è una macchina da far camminare, ma una famiglia da amare», allo stesso tempo la nomina di un uomo e un prete forte nel governo della diocesi e stimato dal popolo, voluto proprio da De Donatis, come mons. Giampiero Palmieri, oggi vescovo di Ascoli Piceno, come ausiliare del settore Est e poi vice gerente di Roma dal 2020 al 2021, ha avuto, anche qui, rimostranze e lamentale. Tanto che poi, appunto, Palmieri è stato spostato ad Ascoli, sempre nel 2021.

Insomma, pare proprio che a Roma i preti non si accontentino mai.

 

D’altronde, non è stata presa altrettanto bene la famosa Costituzione apostolica In Ecclesiarum Communione circa l’ordinamento del vicariato di Roma, siglata da papa Francesco il 6 gennaio 2023. Una Costituzione dove viene di fatto depotenziato il ruolo del cardinale vicario (chiunque esso sia), in favore della collegialità del Consiglio episcopale e dando molti poteri al vice gerente. Su tutti, il volere del Papa, vescovo di Roma. Nel cap. 18, ad esempio, si legge: «Il Cardinale Vicario, il Vicegerente, i Vescovi Ausiliari sono da me nominati a tempo indeterminato e cessano dall’ufficio con mio provvedimento». In parole spicciole, il Papa può mandare a casa chiunque, anche senza aspettare la fatidica soglia dei 75 anni.

 

In questo gran bazar dell’attività pastorale a Roma, non vanno dimenticati però i tanti preti/parroci che si impegnano senza risparmio di energie per un Vangelo della speranza e che accoglie tutti. Sono eroi dell’ordinario. Non parlo solo delle periferie estreme, dove la marginalità genera delinquenza e ferite sociali – e qui, sarebbe il caso che una certa narrazione filo “Vangelo della strada” finisse di essere l’unica narrazione convincente, forse perché piacente al Papa –, ma proprio delle parrocchie ordinarie, fuori dai circuiti del potere, dove ogni santo giorno il parroco si “sbatte” per mandare avanti la parrocchia, diventando guida spirituale, pacificatore sociale, attenuatore di liti, accompagnatore di senso e speranza per generazioni diverse e pagatore di bollette. 

Andrebbero aiutati questi preti, capiti, accompagnati, perfino coccolati. Non solo dai loro superiori, ma anche e soprattutto dal popolo di Dio. Ce ne abbiamo molto bisogno.

 

In questa discrasia tra “il potere logora chi non ce l’ha” e “il potere logora chi ce l’ha”, si gioca l’anima di una città profondamente cristiana ma anche profondamente laica. 

Una città e una diocesi che tentano, da posizioni non così lontane, di dare un senso a una metropoli che ha perso, non da oggi, il gusto di una vita bella e armonica con sé stessa e con le diversità, sociali economiche religiose, che la attraversano. E che la rendono, in fondo, così speciale.

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