E adesso cosa succederà dopo il Sinodo?




E adesso? La domanda nasce spontanea nel reticolato delle parrocchie di tutto il mondo, dove il Sinodo ordinario sulla famiglia appena trascorso sarò costretto a dare risposte pastorali chiare, o almeno, non suscettibili di “arbitraria” dottrina. Già, e adesso?

Andiamo al sodo della questione. L’accoglienza pastorale ai divorziati risposati si allontana, elegantemente e democraticamente, dal recinto ristretto della cieca obbedienza dottrinale, come ha detto Enzo Bianchi, per entrare nel campo, intimo e più delicato, della coscienza.
Si vedrà, caso per caso. Ma, si domanda qualcuno, non funzionava già così? I preti, di fatto, nella loro maggioranza, non davano già la comunione al “condannato” divorziato risposato? 

La relazione finale approvata al Sinodo, nel punto in questione, è chiara: «I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili… La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità».

Anche se i punti più dibattuti della relazione sono “passati” per alcuni voti (il quorum dei due terzi era di 177 voti) non si può non accorgersi di quanto la Chiesa abbia fatto un passo avanti verso quella misericordia tanto voluta e praticata da papa Francesco.
Se pensiamo a come la Chiesa era messa solo due anni fa, e non solo su questi temi, c’è da gridare al miracolo. Il card. Martini, poco prima di morire, rilasciò un’intervista in cui parlò di una Chiesa in ritardo di duecento anni.

Ma, al di là, del Sinodo e dei suoi risultati, quello che è emerso è che anche la Chiesa, monarchia illuminata che vive da duemila anni, ha scelto la democrazia e la trasparenza come gesto di rottura rispetto al suo passato. Non è una cosa da poco. Alle scartoffie e agli intrighi di uffici curiali, papa Francesco ha contrapposto il voto, ai pettegolezzi di palazzo la discussione.
Questo modo di fare, questa “parresia evangelica”, rappresenta lo stile del pontificato di Francesco, a metà tra intelligenza ignaziana e spiritualità francescana. Uno stile cercato nelle viscere del vangelo, e una parola incoraggiata dal grido di dolore di un mondo contemporaneo accecato da una globalizzazione senza regole e senza limiti.
La forza di papa Francesco è tutta qui. Oltre le esortazioni evangeliche, le encicliche. Oltre le scelte dei futuri episcopati che pur ci sono e sembrano finalmente intravedere una linea di direzione. Le ultime nomine vescovili, infatti, vanno diritte nella scelta di uomini che hanno abbracciato l’abito talare per calarsi nell’odore delle pecore.

Ecco perché i rigoristi, o conservatori, o tradizionalisti, insomma “loro”, i soliti, hanno fatto uno scivolone con la storia prima del monsignore gay, poi delle lettera dei 13 cardinali che come tutte le commedie tragicomiche poi non si è saputo chi avesse firmato veramente (alla faccia della trasparenza….), e infine con l’insuperabile bufala del tumore benigno al cervello del papa.
L’attacco a papa Francesco continuerà anche in futuro. Ma, rispetto al tiro infuocato dei suoi nemici, non nuovi nell’uso spregiudicato di carte e documenti segreti per colpire l’avversario, la contraerea bergogliana usa la tenerezza e la “durezza” delle Beatitudini.
I Sinodi passano, la Chiesa rimane. Così i difensori a oltranza di una Chiesa arroccata sui suoi inossidabili misteri e leggi imperturbabili nel tempo e nella storia non raccoglie che lo striminzito un terzo dei voti, stando però solo al voto di vescovi e cardinali un po’ anziani, in gran parte eletti sotto il pontificato dei due precedenti papi. 

Il popolo, in realtà, è tutto con papa Francesco. Un popolo di fedeli che forse solo ora sta capendo la grande novità di questo pontificato. Per Francesco, infatti, la Chiesa è inclusiva, mai escludente. Anche per chi non la pensa come lui.
Una Chiesa che ha i tempi lunghi della mediazione e della parsimonia e i tempi presenti della misericordia e della tenerezza evangeliche.
La rivoluzione continua.

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