Laici e presbiteri? C'è ancora molto da fare. Il caso Roma insegna

È inutile che ci giriamo intorno: le famose “primarie” del Vicario di Roma, allargate per volere di papa Francesco anche ai laici, pare proprio che siano state un flop.
Difficile attribuire colpe specifiche, se non a un clima un po’ "crepuscolare" che nella città eterna si respira da molti anni. Un clima chiuso, pieno di disincanto e disamore per la città e, di conseguenza, per la comunità ecclesiale.

I laici dovrebbero chiedersi come e perché si siano lasciati scappare un’occasione così: dopo tanto parlare e tanti convegni dedicati alla corresponsabilità tra gerarchia e popolo di Dio, questa era, appunto, l’occasione buona per metterla in pratica.

È anche vero che il laicato romano vive da anni in una sorta di nascondimento nostalgico (la Roma degli anni del Concilio così viva e creativa, centro di cenacoli teologici, oggi non c’è più, così come il clima che preparò il convegno “i mali di Roma”, le denunce della Caritas diocesana di don Luigi Di Liegro, e le tante energie intellettuali e di “peso” perse chissà dove…) e di una paura dell’osare (la diocesi è stata bloccata dagli anni novanta in poi in un’inutile presenza burocratica laicale, buona solo a far vedere i numeri di un impegno ecclesiale e di fede che è venuto sempre meno negli anni).

Detto ciò, non si può far finta di nulla sul resto. Sul sito del Vicariato non si è fatto minimamente cenno alla possibilità di inviare delle considerazioni sulla diocesi e sul nome del futuro vicario entro il 12 di aprile, né il settimanale della diocesi, RomaSette, ha perorato la causa. 

Dalle parrocchie buio fitto, o meglio, silenzio assordante. Tranne pochissime e coraggiose eccezioni, la vicenda del coinvolgimento del popolo di Dio è stata vissuta come un fastidio da eliminare al più presto.

Qualcuno, come Gianni Valente oggi su Vatican Insider, scrive che le riforme calate dall’alto a volte non vanno a buon fine. Aggiungo solo che se papa Francesco avesse voluto far calare le riforme, appunto, dall’alto, avrebbe intimato a tutte le parrocchie modi e tempi precisi per far partecipare tutto il popolo di Dio. Invece, come è ormai prassi nel magistero di Francesco, il papa ha voluto che la riforma in questione (perché di riforma si tratta) fosse vissuta e partecipata prima dal basso.

Insomma, la corresponsabilità tra laici e gerarchia, una delle scommesse del Concilio Vaticano II, attende ancora una sua applicazione concreta.

Nonostante ciò, l’attesa per il nuovo Vicario è spasmodica. Tutti aspettano il nome.

L’impressione è che Francesco ci stupisca ancora. Quel “nome”, adesso, diventa fondamentale.

Roma ha bisogno di una vera svolta ecclesiale.

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