Roma, il vicario, e la vista lunga di Francesco

Articolo pubblicato su Vino Nuovo del 5 aprile

Nonostante le famose "primarie" del vicario di Roma, che scadono il 12 di aprile, non abbiano goduto di necessaria pubblicità e, anzi, abbiano anche creato un po' di confusione nei fedeli a causa del "come" e del "chi" potesse partecipare, la procedura democratica voluta dal vescovo di Roma, Francesco, è di fatto una realtà con la quale laici e presbiteri della diocesi devono confrontarsi. Infatti, i prefetti hanno comunicato ai parroci nei giorni scorsi durante le consuete riunioni collegiali e riservate che sì, così come richiesto dal Santo Padre nell'incontro con gli stessi prefetti del 10 marzo scorso, anche i laici potranno partecipare a delineare il profilo giusto per la diocesi, che sarà nominato il 29 giugno, giorno dei santi Pietro e Paolo, patroni di Roma.

La questione aveva generato una certa curiosità nell'opinione pubblica (ogni tanto anche i giornalisti ci pigliano...). La novità stava, e sta tutt'ora, nel fatto che anche i laici singoli, non solo le rappresentanze dei consigli pastorali, possono partecipare a questo momento di confronto indicando le esigenze e i problemi di una diocesi complessa come Roma, insieme al nome del vicario. Il tutto consegnato a mano alla cancelleria del vicariato, in doppia busta chiusa, che poi sarà inviata direttamente a Francesco.
Al di là del nome del futuro vicario, che pure è importante, la città e la diocesi potranno vivere un tempo positivo per le sue ricadute inevitabili, come diceva bene Giuseppe Lazzati, sulla "costruzione della città dell'uomo a misura d'uomo".

Roma ha circa 340 parrocchie, coordinate in 36 prefetture. Alcune di esse sono grandissime, accogliendo nei propri confini oltre decine di migliaia di fedeli. La città di Pietro dove, storicamente, i preti contano, anche nella civitas, quasi più dei laici, accusa oggi la stanchezza della crisi delle vocazioni e l'avvento di una secolarizzazione che l'ha avvolta in un velo di trasandatezza e di disincanto che si respira nella res publica e nel quotidiano vivere. I preti non mancano a Roma: il numero di studenti che frequentano le molte università pontificie sono, comunque, per chi li accetta, un valido aiuto per far andare avanti la pastorale delle parrocchie. Ma è anche vero che nell'ultimo ventennio tanto è cambiato. Un terzo dei preti della diocesi sono religiosi, quindi un po' distaccati da quello che potrebbe essere un piano pastorale coordinato e condiviso; un altro terzo è formato da preti neocatecumenali; un altro, infine, fa parte del clero secolare. Già da questi numeri si capisce quanto il termine "collaborazione" sia difficile in un tessuto ecclesiale così composto e differenziato, dove le problematiche vanno ad addizionarsi alle "malattie" endemiche della città. 

I vicari, per consuetudine papalina e curiale, hanno svolto nel tempo più una parte burocratica e di governo che non un vero e proprio ruolo pastorale. L'ultimo pastore vero che la diocesi ricordi è stato il card. Ugo Poletti, vicario di Roma dal 1973 al 1991, forse perché si trovò davanti una situazione territoriale e spirituale dove le periferie esistenziali stagnavano nel degrado più assoluto. A lui si deve la costruzione di molte chiese in periferia (le famosecattedrali nel deserto), e un convegno sui "mali di Roma" organizzato con don Luigi Di Liegro nel 1974, allora direttore della Caritas romana, e con personalità "conciliari" come Giuseppe De Rita, monsignor Clemente Riva e Luciano Tavazza. All'epoca Roma era una città malata, con una mortalità infantile altissima e una delinquenza in ascesa: bisognava identificarne i mali e agire. Come scrive Andrea Riccardi, «Poletti superò la forbice tra contestazione e riduzione ecclesiastica della Chiesa: scelse una Chiesa di popolo (chiunque partecipò al convegno), raccolta per la prima volta a San Giovanni, da allora luogo delle convocazioni diocesane. Furono preparati 320 documenti dalle diverse realtà romane e vennero fatti 740 interventi nelle cinque assemblee».

Poi toccò a Camillo Ruini, che governò Roma dal 1991 al 2008. Di fatto non si parlò più di pastorale, essendo le energie del cardinale completamente assorbite dalla presidenza della Cei e dal progetto culturale della Chiesa italiana. Agostino Vallini, subentrato nel giugno 2008 a Ruini, trovava davanti a sé una Roma molto cambiata dal punto di vista politico civile ed ecclesiale, sicuramente all'inizio di una decadenza etica e spirituale che ha avvolto, lentamente ma inesorabilmente, tutta la città.

Francesco, come vescovo di Roma, ha parlato alla sua diocesi con i gesti. In alcuni tempi dell'anno liturgico si reca in visita in parrocchie di estrema periferia dove tocca con mano il disagio sociale; la messa a Santa Marta dedicata in larga parte ai fedeli delle parrocchie romane, è una pratica almeno insolita nelle prerogative di un papa; infine, non si possono non citare i discorsi detti alla diocesi all'inizio dei suoi Convegni ecclesiali diocesani e gli incontri che tiene regolarmente nel mese di marzo con i parroci. Parole e incoraggiamenti assai "fraterni", dove la ricerca della misericordia spirituale si accompagna alla denuncia del pericolo dei tanti rischi "clericali" che il servizio presbiterale comporta.

La scelta del vicario di Roma non è un "rito" semplice, dunque. Sconfina anche nella sfera civile e pubblica. A oggi, i nomi più gettonati dai parroci sono Rino Fisichella, Bruno Forte e Angelo De Donatis. 

Eppure bisogna andare oltre l'attesa di un nome. Se laici e presbiteri, insieme, si facessero carico dei problemi di una città oggettivamente allo sbando (e non da oggi), allora questa città potrà risorgere. Con un altro convegno "sui mali di Roma"? Forse. Se desiderato e organizzato dalla base. Di certo questa città e questa Chiesa di Roma hanno risorse inesauribili di empatia etica, costruzione del bene comune, rinnovamento spirituale.

Che la sveglia provenga dal "basso" è più di un desiderio. Chissà che proprio Roma non diventi esempio da seguire nel campo della corresponsabilità pastorale e della costruzione di una polis diversa. Più bella, più solidale, più creativa. 

Francesco ci sta indicando come fare.

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