Cei, Roma, Milano: le tre mosse di Francesco

In pochi giorni papa Francesco ha dato un segnale molto chiaro a una Chiesa italiana desiderata in sintonia con il suo pontificato. Ieri, con la nomina del card. Gualtiero Bassetti a presidente della Cei, e oggi con la nomina del nuovo vicario di Roma, nella persona di mons. Angelo De Donatis, dal settembre 2015 vescovo ausiliare della diocesi con delega alla cura dei sacerdoti.

Se di Bassetti già si è detto molto, interessante e per certi versi nuova appare la scelta del vicario del papa a Roma. Per quattro motivi almeno. Primo: l’età giusta. Mons. De Donatis ha compiuto 63 anni a gennaio. Ha davanti a sé almeno 12 anni di servizio pastorale “ a capo” della diocesi di Roma. Un tempo decisamente opportuno per imprimere decisioni importanti e durature nel governo della diocesi. Secondo: la sua biografia. Uomo di studi e di affabilità pastorale. Dopo la licenza in Teologia morale alla Gregoriana, è stato il parroco “storico” a San Marco Evangelista al Campidoglio dove ha affinato le sue doti riconosciute di oratore e di profondo studioso della Parola sacra. Uomo e prete cresciuto tra i libri, la cura pastorale e l’accompagnamento spirituale. Equilibrio, sobrietà e semplicità, oltre a una profonda cultura, sono le sue doti migliori. Non è frutto del caso questa scelta, se andiamo a vedere l’ultimo anno di nomine vescovili nel nostro paese, dove le virtù premiate da Francesco sono esattamente queste, la strada, l’ascolto, la cultura. Terzo: le modalità della nomina. Papa Francesco aveva chiesto che per la scelta del nuovo vicario si mobilitasse tutto il popolo di Dio, scrivendo direttamente al papa. L’esperimento di “democrazia ecclesiale dal basso” ha avuto molte resistenze, soprattutto da gran parte del clero diocesano, che non ha visto di buon occhio questa pratica conciliare voluta dal papa in persona. Nonostante ciò, la scelta di mons. De Donatis va proprio nella direzione sperata di un coinvolgimento diretto e corresponsabile dei laici a servizio della diocesi e della città. E il metodo consigliato un “apripista” anche per le altre nomine da qui a venire. Quarto: le cose da fare. Al nuovo vicario è chiesto di essere tessitore di alleanze ecclesiali e civili, in una diocesi dove è difficile imporre una linea pastorale unica e in una città ormai preda di un disfattismo civico allarmante e in mano a una politica che fa acqua da tutte le parti.

Dopo Roma, però, si attende Milano. Troppo importante la nomina della più grande diocesi del mondo. Anche in funzione del prossimo conclave. Non è un caso che tra gli ultimi arcivescovi della città lombarda, uno è diventato papa (Paolo VI) e altri due ci sono andati vicino (Carlo Maria Martini e Angelo Scola). Quale nome indicherà Francesco? Un altro maturo-giovane dal curriculum solido e dall’”odore delle pecore”, come nel caso romano, oppure magari un pastore più avanti nell’età, preparato, colto e con capacità di governo, che ha la fiducia e la stima dei vescovi italiani?

Non solo Milano. A breve scadranno nel loro mandato, per il compimento dei 75 anni di età, alcuni vescovi titolari di diocesi altrettanto importanti. Il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, compirà 75 anni il 14 gennaio del 2018. Il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, il 2 giugno del 2018. L’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, invece, terminerà il suo mandato, sempre a rigore canonico, il 5 ottobre del 2019.

Ce ne è per stare bene attenti. Alcune volte il vento dello Spirito si prende i suoi tempi biblici, altre invece soffia veloce come un uragano.

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