Cosa c'è dietro l'opposizione rancorosa contro papa Francesco

Globalist.it del 28.08.2018


La campagna d’autunno contro papa Francesco ha avuto il tempo di sedimentarsi, come nelle migliori tradizioni del retroterra curiale rancoroso e vendicativo, in questa estate vissuta nel fango di un documento reso noto da un ex nunzio negli Stati Uniti, ma anche nei numeri veri di alcune inchieste giudiziarie nate dall’ascolto e dalla denuncia di terribili storie raccontate dalle vittime che hanno vissuto sulla propria pelle la vergogna degli abusi sessuali.
Di ritorno dal viaggio in Irlanda, papa Francesco ha condannato duramente gli scandali legati agli abusi sessuali da parte del clero, parlando senza mezze misure del «fallimento delle autorità ecclesiastiche» nell’affrontare con adeguatezza la piaga della pedofilia. «Considerando la realtà dei più vulnerabili – ha detto Francesco - non posso che riconoscere il grave scandalo causato in Irlanda dagli abusi su minori da parte di membri della Chiesa incaricati di proteggerli ed educarli». E, a proposito del rapporto Viganò che lo accusava di non aver fatto abbastanza per denunciare i gravi crimini, ha replicato in questo modo, rivolgendosi ai giornalisti presenti nel volo papale: «Credo che il comunicato parli da sé, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro».

Ma prima dell’Irlanda c’è stato il rapporto reso noto nelle settimane scorse dal procuratore generale dello Stato della Pennsylvania, Josh Shapiro. Cifre e dati inconfutabili. Indagini su sei diocesi dello Stato, 300 preti responsabili, almeno 1.000 le vittime. A questo rapporto ha fatto eco una dichiarazione del procuratore generale dello Stato del Missouri, il quale si è detto pronto al dare il via a un’indagine simile nella diocesi di St. Louis.
Come se non bastasse, a maggio scorso papa Francesco ha dovuto fronteggiare la drammatica crisi della Chiesa cilena devastata dallo scandalo degli abusi sessuali verso minori che ha coinvolto più vescovi. Una Chiesa che ha rassegnato in blocco le dimissioni nelle mani del papa dopo che un’ispezione voluta dal Vaticano, coraggiosa e trasparente, aveva messo in luce le coperture e il silenzio di gran parte dei vescovi cileni e avevano portato lo stesso Francesco a degli errori di valutazione sull’intera vicenda.
Un’estate dura per papa Francesco, e quindi per tutta la Chiesa universale. È evidente che il fronte degli oppositori vede anche in questi accadimenti un’arma in più per tentare di delegittimare il pontefice argentino. Che, non dimentichiamo, ha chiesto più volte scusa per gli errori della sua Chiesa. Che non si è risparmiato nel far emergere il marcio all’interno delle sacre mura di seminari e conventi. E che, alla conta dei fatti, eredita una situazione complessa e difficile nata, coltivata ed esplosa in altri tempi e durante altri pontificati.
Ma tant’è. L’occasione è stata propizia per tematizzare nella pubblica opinione sia la delegittimazione del papato sia la possibilità che la potente e ricca Chiesa d’America, pro life conservatrice e molto trumpiana - nonostante papa Francesco abbia di fatto iniziato a nominare vescovi diocesani vicini al suo sentire di Chiesa - un giorno o l’altro possa minacciare uno scisma, se le cose non dovessero cambiare.

L’offensiva d’autunno dei neo-conservatori all’”americana” o all’”amatriciana”, che ha validi appoggi in un modello d’Europa chiusa in sé stessa e affonda le sue radici in un modus vivendi curiale duro a morire, ha capito che è arrivata l’ora di agire allo scoperto. Con sfrontatezza e aggressività.
Sanno benissimo che, una volta superati – se mai si supereranno – almeno a livello comunicativo, i problemi attuali delle vittime del clero a sfondo sessuale, verranno altri temi a dar battaglia. Altrettanto importanti. Perché alla fine quello che temono di Francesco è l’idea che lui ha di una federazione delle Chiese, o meglio di un principio e prassi sinodale che accolga tutti e faccia sentire partecipi tutti nel governo della Chiesa. Presbiteri e laici. Donne e uomini. Poveri e ricchi. Temono di papa Francesco questa sua caparbietà nello scegliere vescovi diocesani con il faro guida della fede e della carità. Pastori con l’odore delle pecore e non funzionari malati di clericalismo. E temono più di tutto che, con il lungo andare, proprio il clericalismo, antico vanto di conservatori e tradizionalisti per difendersi a spada tratta dagli attacchi del mondo di fuori, sia riconosciuto come la causa maggiore della frattura tra fedeli e pastori, tra sacro e liturgia.

La Chiesa di papa Francesco è a un punto di svolta. I numeri delle vocazioni sono impietosi. Sempre più meno preti, religiosi quasi scomparsi e drammatica crisi delle vocazioni femminili. In una Chiesa “accidentata”, la riforma oggi passa per il coraggio nel metter mano al celibato dei preti e alla partecipazione delle donne nella vita della Chiesa, anche dal punto di vista liturgico. Come il sacro possa riavvicinare, in particolare nell’Occidente ricco e svogliato, individuo e famiglia, diritti e doveri di cittadinanza, etica e responsabilità civica, è la sfida che sta davanti.

Sono già oggi i temi del prossimo futuro. Su questo si discuterà al prossimo Conclave.
Anticiparli può voler dire che la Chiesa non ha paura del domani. Con qualche rischio in più.

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