E il prossimo Sinodo non è poi così lontano...
L’affondo è arrivato all’improvviso, qualche mese prima del
secondo round del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, che si svolgerà nell’ottobre
prossimo. A parlare è il cardinale di Monaco Reinhard Marx, presidente della
Conferenza episcopale tedesca e stretto collaboratore di papa Bergoglio come
membro del C9, il consiglio dei nove cardinali che lavora alla riforma della
Curia e presidente del Consiglio vaticano per l’Economia. Fin troppo chiare, le
sue parole: «non possiamo aspettare fino a quando un Sinodo ci dirà come
dobbiamo comportarci qui sul matrimonio e la pastorale familiare. La Chiesa
tedesca non può essere una filiale di Roma. E se nell’insegnamento si rimane in
comunione con la Chiesa, nelle questioni puramente pastorali il Sinodo non può
prescrivere nel dettaglio ciò che dobbiamo fare in Germania».
Il prossimo Sinodo sulla famiglia, chiamato a fornire risposte pastorali
ai problemi delle famiglie, dalla comunione ai divorziati risposati all’accoglienza
delle coppie conviventi, etero e omosessuali, entra nel vivo qualche mese
prima. Per mano di una Conferenza episcopale molto vicina al pontificato di
papa Francesco, ma anche per mano di chi ha fortemente contrastato, durante il recente
Sinodo straordinario e i giorni a seguire, l’apertura pastorale di Bergoglio. I
vescovi tedeschi anticipano così le mosse future: noi andiamo avanti, comunque
vada a finire, sembrano dire.
Insomma, il dibattito apertosi nell’assise ecclesiale non si è mai
placato del tutto, nemmeno durante la pausa di riflessione che intercorre
tra il Sinodo appena passato e quello da venire. Le tesi dei più favorevoli a una
Chiesa che dialoga con il mondo e sa ascoltare le sue difficoltà esistenziali e
di fede, rappresentate dalla famosa relazione del card. Kasper, hanno avuto una
forte e chiara critica da parte dell’ala più conservatrice presente al recente
Sinodo.
Uno scontro anche frontale che ha visto i punti più controversi,
esattamente la comunione ai divorziati risposati e l’accoglienza degli
omosessuali, non arrivare, per pochi voti, alla fatidica soglia dei due terzi
durante le votazioni, poi rese pubbliche da papa Francesco. Segno che non tutto
è scontato e che il dibattito è aperto e la democrazia, finalmente, trova
residenza anche a San Pietro.
Non ci sono dubbi nell’affermare che la data temporale del
prossimo ottobre sarà uno degli obiettivi primari e più qualificanti
dell’intero pontificato di Francesco. Il papa continua a espletare con simpatia
e carità la sua enciclica quotidiana dei gesti, veste di segni evangelici la
città di Roma (vedi le docce e i bagni fatti costruire apposta per i senza
tetto all’interno del colonnato di San Pietro), tesse le sue relazioni diplomatiche
in giro per il mondo, cura con attenzione la prossima riforma della Curia, ma è
chiaro che il prossimo Sinodo dei vescovi dirà a tutti quanto “il nocciolo” di
questa sua azione pastorale e dottrinale sia realmente capita, digerita e infine appoggiata dai
suoi confratelli.
La domanda alla quale la Chiesa non può fuggire è la seguente:
dialogare con il mondo, con le sue periferie esistenziali e individuali, oppure
continuare in una rigida condanna morale in nome di una dottrina che fatica, a volte, a incarnare
il vangelo della vita? Su questo e non altro al Sinodo dei vescovi del prossimo
ottobre le conferenze episcopali e i cardinali invitati voteranno e
delibereranno appositamente. Su alcune questioni che, negli ultimi anni, hanno
costruito un muro invalicabile tra Chiesa e mondo.
Papa Francesco si gioca anche la sua abilità di stratega gesuita.
Il potere temporale della Chiesa e l'ala più "curiale", con tutti i suoi accoliti, non ha digerito il
progetto di riforma complessivo di Francesco e cercherà di approfittare dell’appuntamento
sinodale per reclamare spazi politici e visibilità mediatica nel nome della
tradizione dottrinale.
Ovviamente è una scusa. In realtà, al prossimo Sinodo, chi è contro
Francesco cercherà di mettergli i bastoni tra le ruote e di far valere le
ragioni della minoranza, perché, seppur rumorosa, sempre di piccolissima
minoranza si tratta.
L'auspicio, in fondo, non è così arduo: cioè che la
Chiesa è con l’uomo e a servizio di esso. Che sa riconoscere l’anelito di
speranza e di domanda di Dio anche all’interno di situazioni dolorose, come il divorzio,
o di scelte di vita che possano portare a discriminazioni ed emarginazioni.
Al di là dei voti e dei contrasti dottrinali (che non ci sono), la
Chiesa cattolica al Sinodo si gioca gran parte del suo futuro. E se, come
sembra, papa Francesco insisterà scegliendo la democrazia ecclesiale come
sigillo e architrave di questo futuro, allora tempi nuovi di profezia e
speranza si apriranno per tutta l’umanità, oltre che per le Chiese.
In altre epoche storiche, altri papi avrebbero imposto il segno
del comando nell’orientare i lavori del Sinodo, e, presumibilmente, neppure
avrebbero così tanto discusso.
Oggi, per fortuna, non è così. Francesco ascolterà, valuterà, e
poi deciderà, sulla base delle votazioni democratiche che avranno luogo.
Se non è una rivoluzione evangelica questa, poco ci manca.
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