La Chiesa italiana dopo Firenze (2). La generazione inappropriata


Articolo pubblicato su Vino Nuovo di oggi 19 novembre

Nel discorso di papa Francesco alla Chiesa italiana riunita a Firenze, alcune attenzioni sono andate all'ossessione del potere, «anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all'immagine sociale della Chiesa. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste». Un passaggio così diretto da parte del papa, anche se franco e paterno, forse la platea stipata nel Duomo non se lo aspettava. Al di là della compostezza dovuta alla liturgia, almeno nello spazio riservato ai giornalisti dove c'era più libertà per scambiarsi qualche opinione immediata, tanti hanno cominciato a chiedersi: riusciranno, oggi, i nostri vescovi, i nostri parroci, a incarnare sul serio quello che il papa sta dicendo loro?
Le parole del papa sono poi rimbalzate per tutto il convegno, soprattutto nei luoghi informali, nelle pause pranzo, in sala stampa, nelle vie della città. Riuscirà la Chiesa italiana, gerarchia e laici insieme, a recepire per intero i consigli e le raccomandazioni di un papa venuto dall'"altra parte del mondo"?

Le parole di Francesco sono radicali. Odorano di vangelo. Non indicano un modello di Chiesa da seguire, ma semplicemente il vangelo. Invitano a essere poveri con i poveri, misericordiosi con chi attende misericordia. Nel discorso del papa c'è una critica, nemmeno tanto velata, alle possibili tentazioni di una Chiesa corrosa dal potere, abituata a pensarsi in "grande", integerrima nei suoi valori non negoziabili - e qui veniamo al caso italiano -, nelle ostentazioni di massa come il Family day, ferma nei precetti e nelle norme (vedi il caso del rifiuto ai funerali di Piergiorgio Welby), e solleticata da un tradizionalismo di ritorno che ha fatto del motu proprio della messa in latino uno dei fondamenti per scardinare dal "di dentro" la riforma liturgica conciliare. Ebbene, l'inquietudine è stata forte.
Di un certo modello di Chiesa, che «ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte», il papa non ne vuol più sapere. E allora, qualcuno ha cominciato a domandarsi, adesso che succede?

Non è semplice cambiare la mentalità e i percorsi culturali e "caratteriali" di un episcopato che ha un'anima propria e, in alcuni casi, un'intelligenza e cultura raffinate. Un episcopato formatosi negli anni di Wojtyla e sedimentatosi attorno all'idea del "Progetto culturale" della Chiesa italiana. Non è facile neppure se sul soglio pontificio ora c'è l'argentino Bergoglio, "fisicamente" diverso dai suoi confratelli europei, così amato dal popolo di Dio. 

Si tratta di una generazione inappropriata, per età anagrafica e percorsi formativi così diversi, a recepire per intero il messaggio di Francesco. 

Qualcosa, però sta cambiando, grazie alle nuove nomine episcopali che quest'anno, e anche nei prossimi mesi, hanno riguardato e riguarderanno la Chiesa italiana. A parte Bologna, Palermo e Padova, tra le più importanti (tra un anno scade Milano, Roma è già prorogata dall'aprile scorso, mentre Torino, Napoli e Genova si rinnoveranno entro due-tre anni), i cambiamenti hanno interessato le diocesi più piccole. La scelta, e qui non è difficile vedere la mano di papa Francesco, si è riversata verso pastori dal certo percorso formativo e dall'afflato pastorale. Con una particolarità: i profili biografici dei nuovi vescovi non hanno vissuto in prima persona il progetto di una Chiesa "forte" nel nostro paese, anzi, forse per questo anche allontanati da una certa carriera, prediligendo lo studio, la polvere della strada e l'abbraccio con i margini della vita. L'altro giorno Cremona e Pavia affidate a parroci con una seria preparazione culturale, ma anche Roma con la nomina a vescovo ausiliare di don Angelo De Donatis, tra i parroci migliori che la comunità ecclesiale ha prodotto in questi anni, eccellente predicatore tanto che ha predicato per volere di Francesco gli esercizi spirituali alla curia romana nella scorsa quaresima, prossimo vicegerente di Roma con ampi poteri sulla pastorale di una città difficile come quella capitolina.

Ma la generazione inappropriata è anche quella dei laici. In questo tempo di transizione della Chiesa italiana, è mancata la profezia laicale e nessuna leadership si è affermata in modo compiuto, a parte i fondatori dei movimenti ecclesiali che, in ogni caso, hanno avuto un seguito solo all'interno della loro storia ecclesiale. Una generazione un po' "silenziosa", che ha preferito al sorriso e all'allegria, e alla sana inquietudine spirituale, la tranquillità - e, in alcuni casi, la resistenza - di un servizio pastorale alieno da conflitti, seppur franchi, con la gerarchia.
Una generazione inappropriata, anch'essa, a diventare faro per le nuove generazioni. E soprattutto a essere capofila per un reale cambiamento che parta dal basso.

Dietro le parole forti e sobrie di papa Francesco alla Chiesa italiana c'è l'esigenza di trovare al più presto una nuova classe dirigente che sia l'architrave di un vangelo della prossimità e della "porta accanto".
L'impressione è che ci vorrà un po' di tempo.

Commenti

  1. Il Vescovo del mio tavolo, un uomo di oltre 70 anni esordisce così: “Ciò che deve cambiare è l’atteggiamento che dobbiamo avere nei confronti delle persone: una vicinanza senza pregiudizi. Delle volte per noi più impegnati il ruolo viene prima dell’azione, ma non va bene”. E continua: “Io devo imparare a decostruire una formazione che mi è stata fatta per anni…ma è una fatica”!
    Forse anche qualcuno di quelli della "generazione inappropriata" sta iniziando a ripensare quella cultura ;)

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