Dopo Francesco. Chissà, magari un papa monaco

Articolo pubblicato nel numero 400 de Il Giornale di Rodofà

Ultimamente mi capita molto di pensare a Jorge Mario Bergoglio. 
Una questione di tempi terreni, escatologici, biblici. 
Il futuro-passato di quando Francesco non sarà più vescovo di Roma, e il futuro-presente di quando il Conclave sceglierà il suo successore.
Non riesco a togliermi dalla testa quella domanda, un po’ impertinente adesso (ma non è colpa del cronista di cose vaticane se è proprio dalle parole di Francesco che prende piede la domanda...), ma assai attuale nei cenacoli “d’Oltretevere” e nelle sagrestie che contano. 
Già, che succederà quando Francesco non ci sarà più?

Guardando un po’ indietro, a quegli splendidi giorni del marzo duemilatredici, mi viene incontro la saudade. 
Sono passati quasi quattro anni dall’elezione al soglio pontificio di vescovo Francesco, ma la velocità, la concretezza storica e il modo in cui Francesco si è presentato al mondo, più che alla Chiesa, sono stati una ventata d’aria fresca per la Chiesa e il mondo intero, e uno schiaffo in faccia al perbenismo ecclesiale e al finto tradizionalismo da rendite di posizione.

Perché Bergoglio si è presentato con il suo vero nome, Francesco, con sorriso e benedizione. 
Con buon annuncio e misericordia. 
Quasi un vento di bora che, all’inizio, ha sorpreso tutti, anche i cittadini dell’ecclesia e del Tempio. 
E che ha spazzato via secoli e secoli di burocrazia ecclesiale e temporale, come se il vento dello Spirito soffiasse a pieni polmoni sulle ceneri di una madre Chiesa che durante il pontificato di Benedetto aveva passati brutti momenti. 

Ricordo i primi mesi. 
Il mare di Lampedusa. 
Gli operai di Cagliari. 
La donna musulmana e carcerata alla quale lui, Francesco, lava i piedi. 
Il viaggio lampo nell’isola greca a fianco dei migranti. 
Le omelie di Santa Marta. Brevi, pungenti, sobrie, evangeliche. 
I suoi discorsi contro i funzionari ecclesiali, e contro i laici più clericali degli stessi preti. Poi, certo, c’è Evangelii GaudiumAmoris LaetitiaLaudato si', altro e altro ancora. 
Ma è come se tutti, oggi, ci fossimo abituati a Francesco. 
E non ci facciamo nemmeno più caso. Se non dice qualcosa di eccezionale, la stampa (mea culpa) nemmeno se ne accorge.

Ci ha abituati troppo bene all’inizio. 
Troppo forte il suo sorriso, troppo vera la sua voglia di incarnare il vangelo. 
Troppo bello il suo nome, Francesco.
E allora è normale pensare, oggi, al dopo Francesco. 

Che succederà quando lui non ci sarà più? 
Chi sceglieranno i cardinali riuniti in Conclave? Come sarà la nostra Chiesa?
Una cosa è certa. 
Non si potrà tornare indietro. 
Impossibile. 
Il sorriso, la misericordia, la Chiesa ospedale da campo, l'abbraccio con i poveri. 
Per certi versi, sarà difficile anche per Santa Marta, la pensione a due stelle in salsa pontificia che ricorda tanto i ritiri parrocchiali e allontana però il pensiero di una Chiesa ridondante, bene augurante con il potere e dura con i poveri, quintessenza del potere temporale.
Non si potrà andare indietro per tante cose. 
Per il tentativo di riformare la curia, per le finanze vaticane per fortuna oggi trasparenti, per l’ecumenismo che si aggrappa, anche fisicamente, alla storia della Chiesa del Nord, con i Luterani, e alla Chiesa dell’est, con gli Ortodossi, per un unico e grande abbraccio che non contempla la supremazia petrina.

Un passo indietro appare impensabile. 

Per la diplomazia pontificia, ritornata oggi a essere quella che è sempre stata, una guida sicura per il cammino dei popoli nel mondo.
Forse, non saranno più gli anni della misericordia. 
Perché, in fondo i successori di Pietro incarnano un tempo, una storia, una piccola porzione di universo in cui il loro stile, la loro parola segnano in modo significativo il tempo degli uomini.
E così, dopo il pontificato del dubbio e della ricerca di Paolo VI, il pontificato della maternità di Dio di Giovanni Paolo I, il pontificato della re-conquista cattolica di Giovanni Paolo II e quello della Tradizione di Benedetto XVI, oggi viviamo il pontificato della misericordia. 
Perfettamente in linea nella tradizione ecclesiologia e teologica di Santa Romana Chiesa. Perché cambiano i papi, ognuno con il loro carattere e il loro modo di annunciare il vangelo, ma non cambia la storia della Chiesa, la storia che salva, quando interpreta il cambiamento nell’unico modo possibile: annunciare il vangelo agli uomini, possibilmente quelli che nessuno ama.
Possibile, quindi, che i tempi futuri del dopo Francesco non siano più i tempi della misericordia, già assunta però escatologicamente nello spazio e nell'universo del già e non ancora
Non si potrà tornare indietro, malgrado molti lo auspichino, ma si potrà andare avanti nell’unico modo possibile: rendere il tempo della misericordia trasposto e vissuto in un tempo che io definirei del “sacro”.

Il prossimo papa, vescovo di Roma, vivrà un tempo del sacro. 
Io la vedo così. 

Un sacro alimentato dal soffio dello Spirito e dal valore del silenzio. 
Un sacro che sa assaporare la liturgia dell’anima, che si nutre di essa, che anzi la ama come un innamorato insaziabile, e che non sopporta allo stesso modo liturgie bigotte o allegrotte, dove è facile perdersi tra rumore e poco allenamento al silenzio.
Un tempo del sacro che unisca la misericordia e il silenzio, il sorriso e il pianto, la passione e la sobrietà. 
La passione latino americana e la sobrietà europea. 
Il sorriso meticcio e il sacro della grande tradizione europea: questa è la grande sfida.

Ecco, io la mia Chiesa la vedo così. 

Chissà, magari con un papa monaco. 

Dove l’eremo è una fetta di cielo che non ha paura della terra. 
E la preghiera una grande orazione laica che innalza al cielo le domande del vivere quotidiano. 
E dove Dio prende gusto a guardarci con sorriso e benedizione. 

Mentre noi, quaggiù, cantiamo le meraviglie del creato.

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