Il segreto di Bose e l'assaggio di Dio
Frequento
la Comunità monastica di Bose da sempre, per vicinanza di volti e luoghi.
Per
un po’ di tempo ho pensato che questa mia consuetudine amicale fosse in
relazione al fatto che lì, in quella conca messa a riparo sopra la serra di
Ivrea da dove si vede uno splendido Monte Rosa, abbia respirato il vento del
Concilio e il sogno di una Chiesa accogliente, paziente, sorridente,
misericordiosa.
Certamente
è stato così. Ma solo in parte. In realtà Bose mi “è piaciuta” fin da ragazzo
perché nasconde un segreto: il gusto della bellezza.
Una
bellezza sempre sussurrata, eppure evidente, silenziosamente donata, eppure apprezzata.
Che affonda le sue radici nell’”umanità” del Vangelo e avvicina cielo e terra
in un unico abbraccio.
Mi
coglie sempre di sorpresa la bellezza che si respira e si assaggia a Bose. Il
luogo, la natura intorno, persino come sono messe le aiuole. Si percepisce che
c’è amore per il creato.
Il
silenzio viene gustato nell’intimità. Ci si innamora del sole che tramonta
nell’ora del vespro. La lode a Dio viene cantata di mattina presto con voci
armoniche e soavi, un’unica melodia spirituale di volti oranti. La musica è un
altro accompagno per una bellezza che si vede, si assaggia e si ascolta.
Lino,
che sembra uscito dal Monte Athos con quella sua barba lunga, è il monaco che
si adopera per l’accoglienza agli ospiti, ma in realtà pare essere dell’ufficio
stampa dell’Ecm. Sa tutto di musica contemporanea. Spesso per sapere le ultime uscite
discografiche sono costretto a parlare con lui. I concerti vesperali che si
tengono a Bose sono ormai una realtà di pregio della musica cosiddetta “colta”.
E se ogni tanto a Bose sosta pure Arvo Pärt ci sarà un ragione.
La
musica, oltre i convegni, gli incontri culturali. Ma anche l’artigianato, le
ceramiche, i frutti dell’orto e del bosco.
Emiliano,
che adesso è nella pieve di Cellole in Toscana, è un esperto di ceramiche di
gres, che ha cotto per molti anni nel suo forno di Bose.
Michele,
che ogni tanto mi capita di incontrare a zappare terra nel vitigno di Assisi, è
un architetto coi fiocchi. Anche San Masseo è opera sua.
Sabino,
infaticabile conoscitore di lingue antiche e viaggiatore di Mediterraneo,
coltiva a Ostuni l’olio più buono, veramente bio. Lì, i fratelli, li vedi lavorare
la terra ogni giorno sotto il sole rovente, come se fossero in preghiera.
Guido, l’anima organizzativa di Bose, nonché fedele timoniere delle edizioni Qiqajon, è tessitore di relazioni autentiche (e giornalistiche).
E poi
le sorelle, con il sorriso di Antonella a Bose, e quello di Chiara a Civitella
San Paolo, sempre accoglienti, rassicuranti.
E
ancora Luciano, fine biblista, uno degli intellettuali migliori di questo
nostro Paese, che spiega la parola sacra con il sentimento degli uomini.
Bose
è questa bellezza, almeno per me. Ne assaggio volentieri gusti, odori e suoni,
quando è possibile. Bellezza di volti e di luoghi, ma anche consuetudine di
amicizia e relazioni fraterne.
Poi
c’è Enzo. Adesso più libero di scrivere, pensare, pregare, sussurrare, viaggiare,
godere del bello.
Scriveva
anni fa: «arrivato a Bose per iniziare una vita monastica, ho subito avviato un
orto, che ora altri conducono, ricavandone frutti meravigliosi in ogni stagione,
e anche oggi continuo a tenere un piccolo orto vicino alla mia cella,
interamente dedicato alle erbe aromatiche: prezzemolo, basilico, boraggine, erba
cipollina, menta, timo, maggiorana. Non riuscirei a vivere senza questo orto
che non solo dà gusto ai cibi, ma mi insaporisce l’anima. Del resto, continuo
ad andare sovente nell’orto lavorato dai fratelli e dalle sorelle, perché non
trovo soddisfazione più grande del mangiare i pomodori raccolti dalla pianta,
dell’accarezzare i peperoni carnosi, il “cuneo” e il “quadrato d’Asti”, dello
strappare uno spicchio d’aglio per mangiarmi, fattasi notte, nella mia cella,
una “soma” di pane, olio buono, sale e aglio... Mi piace pensare che di là, nel
paradiso che non a caso ha il nome di “giardino”, ci sono tanti orti che mi
aspettano».
Ecco,
Bose è un po’ il mio orto preferito. Una porzione di terra che mi fa guardare
al cielo con sorriso e benedizione, lungo le strade incerte degli uomini.
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